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Questo articolo è stato pubblicato il 25 marzo 2011 alle ore 15:10.

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Chi non è mai stato tentato dal protezionismo scagli la prima pietra. Il Financial Times esorta l’industria italiana a “guardare oltre il protezionismo”, ma riconosce che gli istinti protezionistici ci sono sempre stati in Europa. Perfino la Gran Bretagna, dopo il rilevamento di Cadbury da parte di Kraft, sta studiando regole per dare alle società britanniche più protezione da takeover ostili. E la Francia è considerata il campione protezionistico “par excellence”.
Ma la cronaca di questi giorni porta alla ribalta il caso Parmalat, oggetto del desiderio di Lactalis. Di fronte alla scalata dell’azienda francese, arrivata al 29% del gruppo di Collecchio, “Roma si è precipitata a fare regole che rendano più difficile per gli stranieri acquisire quelle che Berlusconi considera società strategiche”, riferisce Paul Betts in un commento sul quotidiano britannico.
L’Italia – prosegue il Ft - lamenta che la Francia sta risucchiando i suoi campioni nazionali e che non c’è stata reciprocità per le società italiane in Francia. “La verità – osserva Betts - è che molti dei gruppi italiani acquistati dai francesi erano in vendita o erano d’accordo a farsi acquistare. Questo era certamente il caso di Bulgari, così come della Banca nazionale del Lavoro”.

Un’indagine sponsorizzata dalla Commissione europea – e pubblicata questa settimana da La Stampa – mostra che l’Italia è il paese Ue meno aperto agli investitori esteri, mentre la Francia è più aperta di altri. Solo il 4,1% delle società italiane, ricorda Betts, sono controllate da stranieri che detengano almeno la metà del capitale, quelle francesi sono il 10,3%, più che in Italia, Spagna e Germania.
A difesa di Parmalat, il Financial Times ammette che “l’approccio di Lactalis era ostile”. La società francese – continua - non è stata amichevole nemmeno nei confronti degli azionisti di minoranza, acquisendo il 29% per ottenere il controllo senza dover fare un’Opa totale.
“Ma questo significa automaticamente che il governo debba intervenire?” si domanda il Ft.
Il gruppo francese potrebbe fare un accordo con Ferrero, per rabbonire Roma. “Dipende da quello che il governo considera politica industriale”.

Sul ruolo dello Stato, l’Italia avrebbe da imparare, secondo il Financial Times, sia dai francesi che dagli inglesi. Per i francesi lo Stato deve fare da guida su quelli che considera “non solo i settori strategici, ma le tecnologie del futuro”. Un approccio che sta creando posti di lavoro, per esempio nell’industria automobilistica. Per gli inglesi, lo Stato deve assicurare un ambiente fiscalmente competitivo per le società (ma anche proteggere posti di lavoro). 
Il Financial Times apprezza l’approccio di Luca di Montezemolo, presidente della Ferrari, secondo il quale la risposta per l’Italia non è tanto adottare tattiche protezionistiche, ma adottare una strategia che rafforzi i settori industriali trainati dall’export.
“Non sarebbe ora che Berlusconi facesse una visita di Stato in Cina o in India?”, suggerisce Betts. È quello che fanno francesi e inglesi per concludere grossi contratti.
Perché un paese come l’Italia – si domanda ancora il Ft - con tutto il suo talento nei beni di lusso e nell’artigianato, non ha un gruppo globale del lusso alla pari dei francesi Lvmh e Ppr e dello svizzero Richemont?
“L’Industria italiana – conclude Betts - ha bisogno di lungimiranza più che di patriottismo”.

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