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Questo articolo è stato pubblicato il 25 marzo 2011 alle ore 08:40.
Alla fine l'elefante ha partorito un topolino. Un decreto antiscalata che si limita a consentire ai cda di rinviare di due mesi le assemblee societarie (anche quelle già convocate) non è granchè. Più che una "pillola avvelenata" sembrerebbe una compressa soporifera. Comunque, tra le varie opzioni che il Governo aveva a disposizione per fronteggiare l'attacco francese a Parmalat – una cordata guidata da Lactalis ha rastrellato il 29% delle azioni – quella decisa mercoledì dal consiglio dei ministri è probabilmente la più rispettosa per un paese ad economia aperta. In fondo si limita a suggerire una strada ai Cda, o meglio, al cda.
Ma che farà ora il consiglio di Parmalat, rinvierà l'assemblea per dar modo alle disperse truppe italiane di riorganizzarsi? L'ultima riforma del diritto societario consente il voto anche a consiglieri in conflitto d'interesse purchè, ovviamente, rendano esplicita l'area della loro "correlazione". Ma c'è comunque un principio generale che deve essere rispettato. Le delibere consiliari devono essere motivate dall'interesse per la società e per tutti i suoi azionisti. In questo caso l'interesse al rinvio potrebbe essere giustificato dalla possibilità che l'ingresso di nuovi altri soci spinga all'insù il titolo o favorisca aggregazioni superiori al 30% (per battere Lactalis) con il conseguente lancio di un'Opa.
È questo in fondo il vero interrogativo della vicenda Parmalat. Tempi più dilatati potrebbero favorire la nascita di operazioni di mercato. Naturalmente, quando si prospetta un'Opa, la principale preoccupazione di chi dovrebbe lanciarla è di trovare alternative meno costose. I margini di manovra sono ristretti poichè la cordata francese ha già preso posizione in prossimità del tetto Opa del 30 per cento.
Ma vi sono spazi che potrebbero essere occupati. Ad esempio la bozza di regolamento sulle offerte pubbliche che la Consob sta per varare (lo farà, con tutta probabilità la prossima settimana) nella sua ultima versione non attribuisce più una presunzione di "concerto" (con relativo obbligo di lanciare un'offerta pubblica) nei confronti di azionisti che si riuniscono in occasione di un'assemblea e presentano una lista di maggioranza per la elezione degli organi collegiali. Almeno in astratto pertanto potrebbe essere proprio l'assemblea a scrutinare il progetto migliore.
In questi giorni comunque è stato anche prospettato – il ministero di via XX settembre ci sta pensando – un ritorno al passato per le norme dell'Opa, rimuovendo quell'unica soglia del 30%, ipotizzando soglie differenziate per le singole società e attribuendo un potere amministrativo alla Consob di accertare i cambiamenti del controllo. A parte la difficoltà del meccanismo, che in passato aveva suscitato non pochi conflitti interpretativi, c'è anche da dire che il mercato dei diritti proprietari diverrebbe meno flessibile con l'uscita dalla Borsa (attraverso un'Opa) proprio delle poche società che stanno assumendo una configurazione da pubblic company. Infine dovrebbe essere superato il macigno della retroattività, cioè di come imporre regole nuove a una partita che è già in corso.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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