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Questo articolo è stato pubblicato il 29 marzo 2011 alle ore 07:53.

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Partirà dalla Camera l'iter per la conversione del decreto-legge antiscalate varato la scorsa settimana. L'esame del provvedimento, che per ora contiene solo la norma per il rinvio delle assemblee, inizierà giovedì presso la commissione Finanze. I due mesi di tempo per la conversione sono già cominciati a decorrere e con essi la corsa contro il tempo che i tecnici del ministero dell'Economia dovranno fare per mettere a punto altre misure da inserire sotto forma di emendamento al decreto. Il ministro Giulio Tremonti, comunque, vuole aspettare la riunione informale dell'Ecofin, che si terrà a Budapest l'8 e 9 aprile, per avere un confronto comunitario sulle norme da varare. E anche per fare una forma di pressione su Bruxelles: se le misure a tutela del capitalismo nazionale non possono essere adottate dall'Italia, è il messaggio che il ministro cercherà di veicolare, allora devono cadere anche negli altri Stati, a partire dalla Francia.

Sulle nuove misure, però, c'è ancora riserbo. L'importazione nell'ordinamento nazionale di strumenti già introdotti dalla Francia sembrerebbe il percorso meno insidioso: ovvero l'individuazione di settori strategici e la possibilità del governo di porre un veto a scalatori non graditi che puntino a società italiane operanti in quei comparti. A patto, però, di rammentare che la norma francese è stringente per gli acquirenti non graditi extracomunitari ed invece più blanda per quelli originari della Ue. Il provvedimento sul veto, se entrasse in vigore in tempi rapidi, non dovrebbe essere retroattivo perchè nei fatti Lactalis avrebbe il controllo di Parmalat soltanto nel momento in cui prendesse la maggioranza nel cda. E ancora: potrebbe funzionare anche per Edison, nel senso che i francesi di Edf potrebbero vedersi opporre il veto alla conquista del 51% della partecipata dell'energia come previsto in un primo momento nella bozza di accordo studiata con A2A. Ieri comunque Lactalis ha fatto notare come per la legge francese il settore alimentare non sia strategico: per proteggere Danone a suo tempo, infatti, inserirono tra i settori protetti i casinò, di cui la società era proprietaria.

Le altre ipotesi circolate sembrano di più difficile attuazione: a partire dall'abbassamento della soglia del 30% per far scattare l'obbligo di Opa, che è stabilita non dalla legge italiana ma da una direttiva europea. E ancora: la norma dovrebbe essere retroattiva per valere nel caso Lactalis, senza contare - solo per fare qualche esempio - cosa accadrebbe alle quote attorno al 30% possedute da azionisti di altre società, come lo Stato che, direttamente o indirettamente, possiede in Eni e Enel e sulle quali scatterebbe l'obbligo di Opa. Anche l'ipotesi di rafforzare i poteri della Consob sul «change of control» delle società quotate sarebbe tardiva, perchè il controllo azionario di Parmalat è già cambiato senza dover nemmeno passare dall'Opa. La Amf, la Consob francese, ad esempio può indurre uno scalatore a scoprire le carte e, se nega le intenzioni di scalata, poi deve restare bloccato sei mesi. Anche la Consob può chiedere informazioni ai primi rumors, come prevede il Tuf del '98, ma non può spingersi troppo il là. L'articolo 114 di quel testo unico, infatti, consente a uno scalatore di appellarsi al «danno grave» per evitare di scoprire i suoi piani. «Se qualcuno ci proporrà un quesito lo analizzeramo» ha detto ieri il presidente Consob, Giuseppe Vegas.

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