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Questo articolo è stato pubblicato il 29 marzo 2011 alle ore 07:52.

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Lunedì 21 marzo. Il gruppo francese Lactalis annuncia, su richiesta della Consob, il controllo del 13,67% del capitale della Parmalat: l'8,59% posseduto direttamente e il 5,08% attraverso un contratto di equity swap. Martedì 22 marzo. Sono passate appena 24 ore e la società francese diffonde un nuovo comunicato. Questa volta annuncia di aver stipulato, nelle prime ore della giornata, un accordo per l'acquisto della partecipazione Parmalat detenuta dai fondi Zenit, Skagen e Mackenzie, che insieme controllano il 15,3% del gruppo di Collecchio. Con quest'ultima operazione Lactalis raggiunge la soglia del 29% del capitale Parmalat, fermandosi poco al di sotto del limite che farebbe scattare l'Opa obbligatoria.

Bisogna prestare attenzione a queste date e a queste percentuali per comprendere a fondo cosa abbia fatto scattare l'inchiesta per aggiotaggio della procura di Milano, trapelata subito dopo l'annuncio dell'accordo tra Lactalis e i fondi d'investimento.

C'è un interrogativo attorno al quale ruotano le indagini condotte dal sostituto procuratore Eugenio Fusco e dai militari del Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza: poteva Lactalis avere il controllo della Parmalat possedendo appena il 13,67% delle azioni? Il dubbio degli investigatori, insomma, è se risponda a verità la versione secondo la quale l'accordo tra Lactalis e i fondi Zenit, Skagen e Mackenzie sia stato raggiunto solo nella notte tra lunedì 21 e martedì 22 marzo, o se al contrario non esistessero intese pregresse che avrebbero assicurato a Lactalis la certezza di poter aggiungere al suo 13,67% rastrellato tra venerdì 11 marzo e giovedì 17 anche le quote controllate dai fondi.

Sotto la lente degli investigatori c'è ora l'accordo di equity swap sottoscritto tra Lactalis e SocGen, accordo comunicato dal gruppo francese il 21 marzo. Quel giorno Lactalis annuncia che il contratto ha per oggetto una partecipazione potenziale del 7% di Parmalat. Ma il giorno dopo, raggiunta l'intesa per acquisire il 15,3% posseduto dai fondi, sorge un problema: se rilevasse anche l'intero pacchetto del 7% previsto dall'equity swap, supererebbe (con le azioni comprate dai fondi) la soglia del 30% di Parmalat e sarebbe obbligata a lanciare un'opa sulla società. Ecco allora che le azioni dei fondi (si veda Il Sole 24 Ore del 24 marzo) vengono suddivise in tre tranche: Lactalis ne acquista direttamente il 5,37%, mentre il restante 9,92% viene spartito tra SocGen e Credit Agricole. SocGen blocca il suo primo equity swap e compra dai fondi il 2,42% di Parmalat per conferirlo a Lactalis attraverso un nuovo equity swap. A sua volta Credit Agricole acquista dai fondi una quota del 7,50% e lo inserisce in un ulteriore equity swap. Il risultato è che Lactalis controlla direttamente il 13,67% di Parmalat e indirettamente (attraverso tre distinti equity swap) il restante 15,3%. Gli investigatori potrebbero acquisire questi contratti per verificare se al loro interno siano presenti clausole particolari di settlement.

Si ritorna così alla domanda iniziale: poteva Lactalis controllare Parmalat con il 13,67% delle azioni? L'annual report sulla corporate governance, approvato dal consiglio di amministrazione di Parmalat lo scorso 2 marzo, prevede che «un numero di amministratori in proporzione al numero dei voti ricevuti più due, ma non oltre 9, sarà eletto dalla lista che riceverà il maggior numero di voti». Sia Lactalis sia i fondi hanno presentato proprie liste distinte per l'assemblea del 14 aprile. Il 26 gennaio, infatti, Zenit, Skagen e Mackenzie hanno firmato un accordo di coordinamento, destinato a scadere dopo l'assemblea, per presentare una lista comune per il rinnovo del cda. Con il 15,3% delle azioni, i tre fondi sono i principali azionisti del gruppo di Collecchio e, dunque, presumibilmente i loro candidati avrebbero raccolto più voti di quelli di Lactalis. Per i magistrati i conti non tornano.

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