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Questo articolo è stato pubblicato il 29 marzo 2011 alle ore 11:29.

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FonSai non può più aspettare il riassetto del suo azionariato. Il margine di solvibilità infatti è già arrivato all'allarme rosso. Lo hanno spiegato gli stessi amministratori all'assemblea straordinaria del 26 gennaio, che era stata chiamata ad approvare l'aumento di capitale fino a 460 milioni.

Nelle risposte ai quesiti posti dalla Consob si spiegava infatti che, con la ricapitalizzazione prevista, il margine di solvibilità di FonSai sarebbe migliorato di «circa 20 punti percentuali», e che, «con riferimento al 31 dicembre 2010, sulla base delle stime effettuate e delle informazioni a oggi disponibili, tale rapporto si attesterebbe a circa il 122%». Da ciò si desume che il margine di solvibilità a fine 2010 sarebbe sceso intorno al 102%, a un soffio dal limite Isvap del 100% che ne imporrebbe appunto il reintegro.
Al piano superiore, quello della controllante Premafin, il margine, dopo la doppia iniezione di mezzi freschi, era stimato invece al 111%. Sempre rispondendo alle richieste Consob, all'assemblea Premafin del 25 gennaio, chiamata anch'essa a dare l'ok a un rafforzamento patrimoniale, si precisava che «ipotizzando come eseguiti alle date richieste gli aumenti di capitale di Premafin e FonSai, rispettivamente nella misura di 225,7 milioni e di 460 milioni, con sottoscrizione da parte di Premafin dell'aumento di capitale della controllata FonSai per 100 milioni, il margine di solvibilità della società si attesterebbe intorno al 111% con riferimento al 31 dicembre 2010». Obiettivo dichiarato dell'operazione della holding: «Favorire un afflusso finanziario a titolo di capitale verso il gruppo assicurativo».

Entrambe le società dovranno procedere, indipendentemente dal fatto che Groupama riesca o meno a rinegoziare un'intesa con la famiglia Ligresti. Dopo aver cancellato l'accordo che non è decollato, Groupama non si è ritirata, ma nemmeno si è dichiarata disponibile a lanciare un'Opa. E se il no della Consob è di sostanza, come sembra, difficilmente cambiare la forma riuscirà a convincere la Commissione presieduta da Giuseppe Vegas a tornare sui suoi passi. Certo è che senza i francesi, le cose si complicano. Se la previsione di effettuare l'aumento di capitale di FonSai entro giugno è un impegno più che una promessa, non c'è tempo per studiare cessioni di asset o per trovare un altro partner assicurativo.

Sotto il profilo dei margini di solvibilità, Fonsai aveva già da un po' le gomme sgonfie. Lo si evince anche dalla tabella di analisi su dati R&S e Il Sole-24Ore, che segnala nel 2009 l'esiguità del margine in eccesso, calcolato quale differenza tra la consistenza patrimoniale effettiva e quella richiesta secondo i coefficienti di vigilanza rapportata ai premi lordi. Già allora, come si vede dalla tabella, era emerso un problema nella gestione operativa, originato da una sinistrosità superiore a quella degli altri big del settore sia nel ramo vita sia nel ramo danni.
Tant'è che FonSai ha chiuso l'esercizio con una perdita consolidata complessiva di 391,5 milioni, che si è allargata nei soli primi nove mesi del 2010 a 431,4 milioni, a causa però soprattutto delle svalutazioni da impairment sulle partecipazioni "disponibili per la vendita" in Generali (159,6 milioni), UniCredit (98,5) e Mps (42,4).
Diventando dunque urgente la ricapitalizzazione del suo asset principale, la holding Premafin non può far altro che seguire, per non perdere il controllo rispetto al 41,6% del capitale che detiene direttamente e indirettamente. A stare ai dati di bilancio 2009, Premafin risulta infatti avere in carico le azioni Fonsai a 19,69 euro, quasi il triplo rispetto alle ultime quotazioni di Borsa di 7,17 euro, e perdendo il controllo perderebbe anche il premio di maggioranza. Diluendosi, inoltre, annacquerebbe anche il flusso di dividendi (che quest'anno non ci saranno) che serve a far fronte al costo del debito. Nel 2009 gli oneri finanziari erano pari a 17,9 milioni, a fronte di 24,2 milioni di proventi finanziari, di cui 18,7 milioni di dividendi FonSai distribuiti nel 2010 e 5 milioni di dividendi dall'immobiliare International Strategy, sui quali però non si potrà più contare, come spiegato all'ultima assemblea. Nel 2008 e 2009, infatti, International Strategy ha realizzato in tutto utili per 3 milioni, ma ha pagato dividendi per 10,7 milioni utilizzando anche le riserve.

Considerato che anche Premafin nel 2009 aveva debiti finanziari per quasi 360 milioni, che lo scorso mese di dicembre ne ha rinegoziati per 322, e che tutte le azioni FonSai in portafoglio sono andate in pegno alle banche, è intuitivo che non ci siano ulteriori spazi per allargare il debito. In assenza di un partner "industriale" come Groupama, l'aumento di Premafin dovrà perciò essere sottoscritto dal mercato e dalle banche del consorzio per l'eventuale inoptato. In questo scenario è chiaro che le nuove azioni dovranno essere offerte a prezzi molto inferiori alle attuali quotazioni di Borsa. Quotazioni che rispecchiano un valore pari a una volta e mezzo il net asset value, quando invece normalmente le holding sono trattate a sconto di almeno il 20% rispetto al valore delle attività sottostanti.
A questo punto, la domanda è: cambierà l'azionariato? Sinergia holding, che a livello consolidato detiene il 20,23% di Premafin, non pare avere i mezzi per seguire. Nel 2009 aveva infatti debiti verso le banche per quasi 360 milioni (di cui 210 milioni rinegoziati a fine 2010) e tutte le azioni a pegno: ha però anche immobili e terreni con valore di libro adeguato agli impegni. Sinergia è destinata a diluirsi, ma la famiglia potrebbe mantenere comunque il controllo se le tre società lussemburghesi dei figli di Salvatore Ligresti, che hanno il 10,35% ciascuna di Premafin, reperiranno i mezzi per far fronte all'aumento di capitale della holding quotata. Dai bilanci 2009 non risultano avere debiti e il pacchetto complessivo del 31% di Premafin è libero da pegni.

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