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Questo articolo è stato pubblicato il 31 marzo 2011 alle ore 07:59.

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Più che una scalata una sorta di blitzkrieg. Veloce, rapido e compiuto sui titoli Parmalat di fatto tra il 15 marzo e il 18 marzo. Così Lactalis ha condotto il suo assalto. Si parte il giorno 15 con il primo strappo. Passano di mano 75 milioni di azioni. Sette volte più della media giornaliera abituale. Il giorno dopo ecco altri 106 milioni di pezzi.

Con il clou il 17 marzo quando girano 171 milioni di azioni, il 10% del capitale in un giorno. È lo stesso giorno in cui Lactalis dichiara, per la prima volta, di avere già una posizione sui titoli di Collecchio pari all'11,42% del capitale. Il più è fatto. La coda è il 18 marzo con altri 104 milioni di titoli scambiati. In tutto, nel blitzkrieg francese dei quattro giorni, vengono comprati e venduti titoli per 456 milioni, pari al 27% dell'intero capitale di Parmalat. Arriverà poi notizia dell'accordo con i fondi, ma la guerra lampo è per lo più compiuta. E come in tutte le scalate, c'è un intermediario più attivo di altri.

Il ruolo del Credit Suisse
È il Credit Suisse, guidato in Italia da Federico Imbert, Che fa il broker svizzero? Intermedia, come risulta a Il Sole 24Ore, più di tutti. Il 15 marzo ben 12,4 milioni di pezzi sui 75 milioni scambiati passano da Credit Suisse. Undici milioni il 16 marzo, altri 6 milioni il 17 marzo e ben 16,9 milioni il 18 marzo. Non è attivo invece come si poteva supporre Société Générale. La banca da sempre vicina ai Besnier e protagonista dell'equity swap che consente la presa su Parmalat se ne sta in disparte. Così come Credit Agricole, l'altra banca francese che ha aiutato

Lactalis con un altro equity swap. Scelta voluta? E che c'entra Credit Suisse? Per la banca svizzera che sostiene si sia trattato di «normale operatività da Londra» può dire tutto o nulla. Ha cavalcato la massa di volumi in scambio solo perché molto brava a intercettare i flussi o ha fatto da sponda all'operazione? Possibili entrambe. La Consob in ogni caso monitorerà l'operatività degli intermediari in quei giorni alla ricerca di eventuali anomalie. Resta la domanda di fondo che si pone la Procura che ha aperto un'inchiesta. C'era o no concerto tra Lactalis e i fondi? Besnier ha fatto tutto da solo o c'era un accordo pre-stabilito per entrare a tempo debito in possesso del 15,3% dei fondi? Domande al vaglio degli inquirenti.

Besnier e il miliardo in più
Per il resto c'è più di un particolare che fa pensare che la scalata a Parmalat non sia stata un'improvvisata. Già nella primavera del 2010 si segnalava un interesse di Lactalis verso Parmalat. E guarda caso nel luglio dello stesso anno Nethuns, il braccio finanziario lussemburghese dei Besnier, delibera di aumentare il capitale di un miliardo tondo tondo. Da 1,3 a 2,3 miliardi. Che bisogno c'era? Nethuns raccoglie fondi e li presta alle aziende della galassia Lactalis. Tra l'altro come nel caso di Lactalis Italia, su cui Nethuns è esposta per 710 milioni, a un tasso fisso elevato del 6,95%. Solo di interessi (dalla galassia Lactalis) Nethuns ha incassato a fine 2010 82 milioni contro i 65 milioni del 2009.

Certo sulla scatola lussemburghese, forziere finanziario del patron di Lactalis, pesano i debiti saliti da un miliardo del 2009 a 1,73 miliardi del 2010. Ma a fronte dei soldi presi a prestito da Nethuns ci sono i soldi prestati alle Lactalis di tutto il mondo. Quell'aumento secco di un miliardo del capitale non sembra servire alla normale attività. Ma a un colpo grosso. Un'acquisizione. Forse Parmalat?

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