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Questo articolo è stato pubblicato il 30 marzo 2011 alle ore 06:42.

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Nuove funzioni e comitati necessari a gestire la complessità di un grande gruppo o, al contrario, un'iperfetazione di organismi e procedure che, nei fatti, hanno finito per stimolare i contrasti al vertice della società? I nuovi assetti di governo societario delle Generali, frutto di una discussione durata mesi, devono ancora essere presentati al mercato (lo saranno nei prossimi giorni) nella relazione annuale di corporate governance. Ma quelle regole fanno già discutere. O meglio, alimentano le discussioni e le divisioni che da mesi scuotono il board del terzo gruppo assicurativo europeo.

Non è un caso che tra i punti iscritti all'ordine del giorno del consiglio di amministrazione straordinario del prossimo 6 aprile vi sia una verifica delle deleghe in materia di comunicazione, tra le prime caselle ad essere assegnate nel nuovo organigramma del gruppo all'indomani (aprile 2010) della nomina del nuovo board.
Tutto nasce, probabilmente, dalla decisione dei maggiori azionisti della compagnia (Mediobanca in primo luogo) di costruire la nuova governance interna di Generali su tre pilastri: il ruolo di capo azienda (group Ceo) assegnato a Giovanni Perissinotto; un Cda caratterizzato dalla presenza diretta di azionisti forti (soprattutto italiani) della compagnia; un presidente navigato e propenso al protagonismo come Cesare Geronzi. In precedenza il board era composto da manager della società (ad esempio Claude Tandil, responsabile delle attività in Francia) o interlocutori internazionali del gruppo certo non interessati a fare le pulci al management. In più con un presidente, Antoine Bernheim, le cui esternazioni (anche accese) hanno svolto spesso il ruolo di parafulmine per i manager operativi, mantendendoli al riparo da polemiche politiche. Tutto ora è cambiato e le modifiche alla governance possono essere lette in funzione dei tre poteri che da quasi un anno si confrontano all'interno della compagnia.

Il ruolo di capoazienda di Perissinotto, ad esempio, pur contestato nelle critiche del vice presidente Vincent Bolloré, nelle ultime settimane è stato rafforzato con la decisione del Board di legittimarlo come responsabile unico della politica d'investimenti del gruppo. Una scelta venuta all'indomani dell'intervista di Geronzi al Financial Times nella quale si indicavano strade diverse nelle strategia d'investimento del gruppo (maggiore presenza nel capitale delle banche, nei progetti infrastrutturali "di sistema", una riduzione nel peso del mattone). La linea di comando di Perissinotto, attraverso il Cfo Raffaele Agrusti, si articola anche in nuovi ruoli: il country manager Paolo Vagnone, il Chief investment Officer Philippe Setbon, il responsabile degli investimenti immobiliari Giancarlo Scotti. E nuovi comitati operativi (Group management committee)

Ma anche il protagonismo del Cda è stato rafforzato. Accanto ai comitati già esistenti (esecutivo, audit, remunerazioni, corporale governance) è nato un comitato investimenti in cui le scelte dei manager sono sottoposte ad uno scrutinio non formale. Le prime scintille sull'operazione in Russia e sulla partnership nell'Europa Orientale sono nate in quel contesto. Tra l'altro, la decisione di nominare tre vice presidenti (Alberto Nagel, Bolloré e Francesco Caltagirone) ha ulteriormente rafforzato il peso "isitutuzionale" di quei consiglieri. E, in omaggio ad un regolamento dell'Isvap, è ora anche al board che riferisce il nuovo Chief Risk Officer del gruppo, funzione che in precedenza rientrava interamente nelle responsabilità operative di Agrusti.

E Geronzi? Arrivato in Generali privo di deleghe gli sono state però subito affidate le responsabilità delle funzioni concernenti le relazioni esterne, la comunicazione e i rapporti istituzionali. Successivi ordini di servizio hanno sdoppiato la funzione di comunicazione attribuendo a Perissinotto quella "operativa" ed a Geronzi quella "istituzionale". Quanto sia labile il confine lo dimostra la decisione di ridiscutere l'intera materia. Fin quando Geronzi si è limitato a indicare suoi collaboratori in un ruolo già occupato nell'organigramma del gruppo (ad esempio l'ex-Banca D'Italia Angelo De Mattia come responsabile del centro studi) o a creare sua sponte organismi informali (il comitato di presidenza) le tensioni non sono trapelate all'esterno. Ma il conflitto è divenuto esplicito quando il presidente ha voluto dire la sua sugli investimenti o su modifiche alla governance (in materia immobiliare) non discusse in precedenza nel board. Ed ha fatto da detonatore alle insofferenze che covavano in consiglio esplose con le esternazioni di Della Valle, del dimissionario Leonardo Del Vecchio e, da ultimo, di Bolloré. I tre pilastri della governance di Generali, ad un anno di distanza, appaiono tutti meno solidi.

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