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Questo articolo è stato pubblicato il 31 marzo 2011 alle ore 09:55.

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Alla Banca Popolare di Milano ogni giorno ha la sua croce. L'ultimo scontro interno è quello che ora contrappone il presidente Massimo Ponzellini all'associazione Amici della Bpm, il "parlamentino" dei sindacati-azionisti cui fa capo la maggioranza del consiglio di Bpm. Due giorni fa Ponzellini ha proposto al board un aumento di capitale da 500-600 milioni di euro e si è visto bocciare la proposta da 13 consiglieri su 18.

Dal dibattito che ha preceduto la votazione, come risultava chiaro dall'intervento di Enrico Corali, era evidente che la maggioranza del consiglio di nomina sindacale avrebbe respinto la proposta. Malgrado questo, Ponzellini ha voluto comunque che si procedesse alla votazione e che l'esito venisse messo a verbale. Una battaglia non solo di sostanza, quella del presidente, ma anche di forma. Pur sapendo di finire in minoranza, verificando il voto contrario della Fabi (che lo aveva nominato), di fatto Ponzellini ha certificato la spaccatura tra il vertice della banca e l'Associazione Amici della Bpm.

Aggiungendo, stando alle indiscrezioni, una dura requisitoria contro le logiche sindacali di Bpm che impediscono una reale politica di contenimento dei costi e una ricerca dell'efficienza, quanto mai necessarie nell'attuale fase di mercato. Tanto da arrivare a chiedere un voto di fiducia sulla sua stessa presidenza. Ipotesi, poi, evitata dalle diplomazie.

Nella storia recente della Bpm, lo scontro frontale tra il presidente e i sindacati-azionisti (che lo hanno eletto) non è tema nuovo (da Francesco Cesarini a Paolo Bassi fino a Roberto Mazzotta). Ma è la prima volta che il sodalizio si esaurisce in meno di due anni (il mandato di Ponzellini scade con l'assemblea di bilancio del 2012). Nè, stando a fonti interne, sembrano esistere grandi margini di ricucitura, dato che al presidente che propone – per esempio – di trasferire 250 persone dalle sedi centrali alla rete per fare efficienza, i sindacati rispondono bocciando la proposta e chiedono 250 nuove assunzioni per la rete. Altro tema di contrasto, è il progetto di banca unica. Con Ponzellini e il direttore generale Fiorenzo Dalu (anch'egli contestato da parte delle sigle sindacali) che puntano alla fusione almeno di alcune controllate con l'obiettivo di ridurre i costi, e i sindacati che si oppongono e chiedono lo status quo.

Il confronto-scontro, a meno di ricuciture improbabili dopo il consiglio «traumatico» di martedì, è destinato a durare nei prossimi mesi. E la prima verifica pubblica sarà all'assemblea dei soci del 30 aprile, quando Ponzellini parlerà davanti ai clienti-soci e agli azionisti nell'assise di approvazione del bilancio.

Bilancio che si chiude con risultati più che soddisfacenti. L'utile netto ha fatto registrare una crescita del 2,3% a 106 milioni, con un dividendo invariato di 10 centesimi. La crisi non ha dunque penalizzato i soci, tra i pochi nelle banche a incassare una cedola analoga a quella dell'anno precedente, anche se il faro del mercato resta concentrato sui ratios patrimoniali, soprattutto dopo il gran rifiuto del board sull'aumento di capitale. A lanciare segnali rassicuranti al mercato, è stato ieri il direttore generale Fiorenzo Dalu che, nella conference call con gli analisti insieme al condirettore generale Enzo Chiesa, ha spiegato che Bpm ha oggi un Core Tier 1 del 7,2%.

«Considerando la possibile plusvalenza sulla cessione di Bpm Vita, raggiungeremo circa il 7,5%». Livello che pone Bpm sopra l'asticella del 7% di Core Tier 1 prevista per il 2019. Qunato al rimborso dei Tremonti bond (500 milioni) previsto nel 2013, Dalu ha ribadito che la copertura è già garantita dal prestito convertendo di pari importo. Il tema, in ogni caso, sarà affrontato in prossimità della scadenza.

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