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Questo articolo è stato pubblicato il 02 aprile 2011 alle ore 08:18.
FIRENZE. In queste ultime settimane, i vertici della Fondazione Monte dei Paschi hanno fatto la spola con il ministero del Tesoro, a Roma. Oggetto degli incontri riservati, sollecitati dai manager senesi: l'eventuale modalità di adesione a un aumento di capitale di Banca Mps, di cui si parla da tempo, e in particolare la possibilità di ricorrere all'indebitamento per far fronte alla propria quota di pertinenza, costituita dal 45,7% dei titoli ordinari e dal 55% della totalità delle azioni(comprese le privilegiate).
I tempi per dare il via all'operazione si stanno accorciando: la convinzione di molti osservatori è che una decisione sarà presa prima dell'assemblea di bilancio di Montepaschi, in programma il 29 di aprile. Se i nodi verranno sciolti nelle prossime ore, potrebbe essere addirittura questione di giorni, anche se il progetto non figura all'ordine del giorno della prossima riunione che il consiglio d'amministrazione terrà giovedì 7. Il consenso politico in sede locale c'è, manca solo la decisione sull'entità della manovra e sul livello di adesione del maggior azionista. È di questo che si discute.
Gabriello Mancini e Marco Parlangeli, presidente e direttore generale della Fondazione, sono tra l'incudine e il martello: da una parte c'è la banca guidata da Antonio Vigni e presieduta dal leader dell'Abi, Giuseppe Mussari, che punta a rimborsare 1,9 miliardi di Tremonti-bond per proseguire nell'opera di rafforzamento patrimoniale e liberare risorse (il costo in bilancio dei T-bond è di 160 milioni all'anno); dall'altra ci sono le istituzioni senesi, Comune e Provincia, principali referenti della Fondazione, che non vogliono perdere la "presa" sul gruppo di Rocca Salimbeni.
«Siamo pronti a valutare ipotesi di aumento di capitale, ma non a diluire la nostra partecipazione», aveva detto Mancini a febbraio. Tutto ruota intorno alla cifra: l'aumento sarà di 2 oppure di 1,5 miliardi? Nel primo caso, accettando di scendere al 51% del capitale complessivo della banca, la Fondazione si troverebbe a dover sborsare almeno un miliardo, la metà del quale potrebbe arrivare dalla cessione di una parte dei titoli privilegiati, in portafoglio per 1,4 miliardi (le azioni ordinarie sono in carico a 3,3 miliardi), in modo da non scendere al di sotto della fatidica soglia del 51% del capitale complessivo.
I restanti 500 milioni, che nel caso la manovra fosse di soli 1,5 miliardi si ridurrebbero a 250 milioni, non possono che arrivare dallo smobilizzo di altri investimenti oppure da finanziamenti esterni. Il Tesoro, secondo quanto risulta al Sole 24 Ore, non vedrebbe di buon occhio il ricorso al debito. La strada delle dismissioni, invece, si scontra con lo scoglio delle inevitabili minusvalenze. Nella cassaforte della Fondazione senese è custodito l'1,9% di Mediobanca, lo 0,42% di Intesa Sanpaolo, l'1% della Sator di Matteo Arpe, il 2,57% di Cassa depositi e prestiti, il 5,7% del fondo F2I, il 36% di Fontanafredda e il 31,6% dell'immobiliare Sansedoni.
A valori di mercato, oggi le quote in Mediobanca e Intesa Sanpaolo valgono un centinaio di milioni ciascuna. Saranno cedute? Mancini e Parlangeli hanno detto in più occasioni che la partecipazione nella banca di Piazzetta Cuccia è strategica (ma a Siena non la pensano tutti così), mentre lo 0,42% di Intesa Sanpaolo è da tempo tra gli asset smobilizzabili. La verità è che, dopo aver sborsato 3 miliardi per seguire l'aumento di capitale con cui nel 2008 Banca Mps rilevò Antonveneta, e dopo che nel triennio 2008-2010 i dividendi in arrivo da Rocca Salimbeni non hanno superato complessivamente i 160 milioni (di cui 100 relativi all'ultimo esercizio), la Fondazione si trova a dover affrontare un passaggio cruciale.
Il Monte è stato riorganizzato e i numeri dicono che la strada imboccata è quella giusta (985,5 milioni di utile netto nel 2010 e cedola di 167,7 milioni). Ma serve un rafforzamento patrimoniale e, soprattutto, è prioritario rimborsare il debito con il Tesoro. A giugno ci sono i nuovi stress test bancari. In questi giorni, invece, a fare il check up è la Fondazione.
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