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Questo articolo è stato pubblicato il 05 aprile 2011 alle ore 06:42.

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L'operazione ipotizzata è la stessa: un aumento di capitale. L'obiettivo è il medesimo: adeguarsi ai requisiti richiesti dai nuovi accordi di Basilea 3. Ma diversi sono i punti di partenza e di arrivo. A Intesa Sanpaolo la ricapitalizzazione serve per portare il «Core Tier 1» (quel numero magico che indica la solidità di un istituto di credito) ben oltre l'8% e il più vicino possibile al 10% richiesto alle banche di interesse sistemico. Al Monte dei Paschi, invece, l'eventuale ricapitalizzazione servirebbe innanzitutto per rimborsare i costosi Tremonti-bond e per portarsi in linea con i requisiti patrimoniali ottimali senza aiuti di Stato. Intesa si candida a diventare, almeno per ora, campione d'Italia. Il Monte a lasciare dietro le spalle quello scetticismo con cui era guardata sul mercato.
Da quando il Comitato di Basilea ha dettato le nuove regole per rafforzare la solidità delle banche, il mercato ha iniziato a osservare gli istituti con occhi nuovi. Il numero che tutti osservano è il cosiddetto «Core Tier 1», cioè il rapporto tra il capitale "di prima qualità" e gli attivi ponderati per i rischi. Basilea 3 prevede che il capitale ammonti almeno al 7% degli attivi. Il mercato guarda con freddezza chi sta sotto l'8%. Ma per le banche troppo grandi per fallire, cioè «sistemiche», il numero potrebbe salire al 10%.
È probabile che a questo numero guardi Intesa Sanpaolo. Ancora non si sa quali banche saranno considerate "sistemiche", ma è possibile che il gruppo guidato da Corrado Passera possa rientrare in questa categoria. Ebbene: al 31 dicembre Intesa aveva un «Core Tier 1» dell'8,1%. Coefficiente adeguato. Ma potenzialmente basso se Intesa fosse appunto considerata «sistemica». L'aumento di capitale da 5 miliardi adeguerebbe dunque il gruppo a questa nuova realtà: il «Core Tier 1» arriverebbe al 9,5%. Considerando però gli effetti negativi previsti dai nuovi calcoli di Basilea 3, a regime il "numero magico" scenderebbe all'8,5%. Ma a quel punto basterebbero alcune operazioni straordinarie di rafforzamento (si pensi solo a Fideuram) per riavvicinarsi al 10% nei prossimi anni.
Il Monte dei Paschi difficilmente sarà invece considerata di interesse sistemico. E infatti il suo problema è un altro: l'aver sottoscritto i Tremonti-bond per 1,9 miliardi di euro. Se negli anni passati questi titoli sono stati d'aiuto, ora sono un peso: ogni anno costano infatti 160 milioni di euro. Occorre dunque rimborsarli al più presto. E l'aumento di capitale servirebbe proprio a questo. Attualmente la banca senese ha un «Core Tier 1» all'8,3%, considerando anche l'effetto positivo annunciato ieri derivante dal decreto Milleproroghe. Se si eliminassero i Tremonti–Bond, però, il numero scenderebbe al 6,6%. Ebbene: l'aumento di capitale da 2 miliardi lo riporterebbe all'8,4%. E il coefficiente potrebbe venire rafforzato ulteriormente se la Banca d'Italia autorizzasse la cessione degli immobili. Resterebbero da scontare gli effetti negativi dei nuovi parametri di Basilea 3 (che gli analisti calcolano in 130 punti base a regime), ma alla fine il gruppo dovrebbe comunque restare sopra le soglie minime. Senza più aiuti di Stato.
Il punto è capire quali benefici le due banche potrebbero avere dagli aumenti di capitale. Sicuramente avranno più possibilità di sviluppare i piani industriali e di finanziare la clientela. Più difficile è capire se avranno benefici anche sul costo della raccolta. Le ultime emissioni obbligazionarie (tra l'altro garantite anche da mutui, dunque più sicure) avevano spread sopra l'Euribor di 150 punti base per Intesa e di 180 per Mps. Altissimi. Logica vorrebbe che con una maggiore forza patrimoniale gli spread scendano. Ma tanti analisti temono che non sarà così: entrambe le banche pagano infatti elevati interessi perché sono italiane. Pagano il rischio-Stato. E questo potrebbe non cambiare con un aumento di capitale.
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