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Questo articolo è stato pubblicato il 07 aprile 2011 alle ore 07:51.
ROMA. È stato lui, ieri mattina, tra i primi a dare la notizia a Cesare Geronzi. A mediare con chi voleva sfiduciarlo in consiglio e a suggerire al presidente di optare per le dimissioni. Un'uscita un po' meno dura, che consentirà all' ex presidente di Capitalia, poi di Mediobanca e infine di Generali di non andarsene senza avere un'altra presidenza di consolazione, quella della Fondazione del Leone di Trieste.
Francesco Gaetano Caltagirone ieri si è speso molto per rendere la pillola meno amara a colui con il quale da anni ha «un rapporto di grande stima e rispetto» come aveva detto tempo fa in un'intervista. Nonostante si aspettasse una giornata difficile, Geronzi non credeva possibile una mozione di sfiducia sostenuta da 12 consiglieri: quasi tutti, tranne Alessandro Pedersoli, Paolo Scaroni e l'ingegnere. Caltagirone lo ha messo in guardia su cosa lo aspettava e lo ha convinto a lasciare. Poi ha preso le redini del board di Generali, che ha presieduto per un'ora e mezza con professionalità, tanto che alla fine qualche consigliere è andato a chiedergli perchè non lo faceva lui il presidente. Caltagirone è vicepresidente vicario, lo è da un anno, quando fu nominato, per ragioni anagrafiche perchè è il più anziano nel board.
Ma al contempo è proprietario di un gruppo immobiliare, attivo nel cemento (Cementir), di un gruppo editoriale (controlla Messaggero, Mattino e Gazzettino), azionista con il 4% di Mps di cui è vicepresidente, secondo azionista di Acea e non ha alcuna intenzione di puntare alla presidenza di Generali. Eppure non manca chi lo vorrebbe autorevolmente accreditare per quella presidenza, ma lui è assolutamente indisponibile. Ha pensato a convocare al più presto il cda, fissato per venerdì, per la nomina del nuovo vertice: sino ad allora svolgerà un ruolo unicamente istituzionale. Avrebbe troppo da perdere oggi ad accettare un simile incarico. Dovrebbe lasciare la vicepresidenza di Mps, così come gli incarichi operativi nel suo gruppo, promuoverne a capo i figli e assumere una sola presidenza non operativa della holding Caltagirone spa. Oltre al business assicurativo, infatti, vanno considerate le cariche che avrebbe nel patto di sindacato di Mediobanca e di Rcs, società editoriale concorrente del suo gruppo.
Non bisogna, comunque, pensare che l'epilogo di ieri sia una sorpresa per l'ingegnere. Ne è molto dispiaciuto, questo sì. «Siamo entrambi romani, è vero - diceva Caltagirone di Geronzi - ma non è soltanto per questo che c'è un buon legame tra noi». L'ingegnere apprezzava come il banchiere aveva gestito Capitalia, come lasciava autonomia al management. E forse proprio guardando all'esempio della prima banca romana, Caltagirone si era lanciato alla conquista di Bnl, in una scalata che non si è rivelata il suo migliore affare. L'ingegnere ha vissuto gli ultimi mesi in Generali con imbarazzo, condiviso anche da altri soci minori, tra cui la Fondazione Crt (entrata attraverso Effeti) presieduta da Fabrizio Palenzona. Imbarazzo per la tendenza di Geronzi a un certo attivismo che lo portava a interpretare forse con disinvoltura l'incarico di presidenza. Di cui la famosa intervista al Financial Times è stata un segnale. Ma anche per lo spirito di iniziativa dell'a.d. Giovanni Perissinotto, sul quale Caltagirone all'inizio aveva riposto la sua fiducia. «Generali deve crescere a est», aveva detto al Sole24ore a pochi giorni dalla nomina a vicepresidente, sostenendo la strategia dell'a.d. all'estero (in alternativa all'ipotesi di usare Generali per fare "sistema" in Italia, lanciata da Geronzi). Salvo poi scoprire che proprio a est, in Russia e con il finanziere ceco Peter Kellner (socio del Leone), erano stati conclusi quei business finiti nell'occhio del ciclone negli ultimi giorni.
L'ingegnere però non ha perso il sangue freddo: ha comunque continuato a comprare titoli Generali, ben sapendo che i turbamenti nella governance mettono le ali ai titoli in Borsa (+10% da metà marzo).
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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