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Questo articolo è stato pubblicato il 08 aprile 2011 alle ore 08:58.
Si gioca sul rinvio dell'assemblea, il primo round della battaglia su Parmalat tra Lactalis – il colosso parigino del latte che ha rastrellato il 29% del gruppo di Collecchio – e il fronte anti-francese. Ieri davanti, al giudice Renato Mari del Tribunale di Parma, si sono scontrati il colosso e la società italiana, chiamata a rispondere della decisione di prorogare l'assemblea di due mesi. E il primo round potrebbe già rivelarsi cruciale per l'esito finale della battaglia.
Se, come Lactalis chiede e come inizialmente previsto, l'assemblea si dovesse tenere la settimana prossima, non ci sarebbe partita: col suo 29%, la multinazionale della famiglia Besnier avrebbe la vittoria in pugno. Per contro non ci sarebbe abbasatanza tempo per la creazione di una cordata e per il ratrellamento dei fondi necessari per muovere al contrattacco su Parmalat. La decisione del Tribunale, contro cui si potrà comunque fare appello, potrà influenzare in modo significativo gli sviluppi della vicenda.
Ieri l'udienza, iniziata nel pomeriggio, è durata tre ore e alla fine il magistrato ha deciso di prendere tempo, una mossa letta come la volontà di voler esaminare con attenzione le ragioni delle parti. In teoria il giudice Mari ha cinque giorni per decidere, ma una sentenza, secondo indiscrezioni filtrate dagli ambienti giudiziari, è attesa forse già per oggi o al massimo domani.
Ecco le carte sul tavolo: Lactalis chiede una sospensiva d'urgenza, in base all'articolo 700 del codice di procedura civile. I presupposti giuridici, esposti dai legali dello studio D'Urso Gatti Bianchi, sono il sospetto che chi si appella possa aver ragione (il cosiddetto fumus boni iuris) e il rischio che se non si interviene subito lo stesso appellante possa subire un danno (periculum in mora).
Dallo slittamento dei tempi dell'assemblea può arrivare un danno a Lactalis perché i sessanta giorni in più possono dare il tempo necessario per mettere in piedi la cordata tricolore, con la regia di Intesa Sanpaolo e ben vista dal Governo, sceso in campo in difesa di aziende ritenute strategiche per il Paese. E in effetti il rinvio qualche risultato l'ha già portato perché la cordata muove i primi passi: Granarolo, cui da anni piacerebbe un matrimonio con la ben più grande (4 miliardi di fatturato contro 880 milioni) e internazionale (presente in 16 diversi Paesi) concorrente di Collecchio, si è ufficialmente candidata a cuore industriale della cordata e dietro ha il supporto, anche finanziario se del caso, del mondo delle coop. E in più potrebbe contare sul supporto del fondo strategico della Cdp.
L'impresa non è facile: un'Opa su Parmalat costa fino a 5 miliardi di euro e anche convincere i francesi a farsi consegnare solo il loro pacchetto è impegnativo. Lactalis chiederebbe almeno 3 euro ad azione, dopo aver comprato a 2,8 il 15% in mano ai fondi stranieri (contro una quotazione attuale di 2,27 euro).
Dal canto loro, il super-risanatore Enrico Bondi, che ha preso in mano le redini del gruppo otto anni fa dopo il crack preservandone l'identità, e i consiglieri (tranne gli indipendenti Andrea Guerra e Marco De Benedetti) che hanno deciso per il rinvio, si sono mossi sulla scia degli effetti del Decreto anti-scalate proposto dal ministro Giulio Tremonti che ha inserito Parmalat tra le aziende di interesse nazionale. Su questi presupposti il team di legali, guidati dall'avvocato d'affari Giuseppe Lombardi, ha presentato un'articolata memoria contro il ricorso. La battaglia è iniziata.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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