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Questo articolo è stato pubblicato il 08 aprile 2011 alle ore 06:42.

UniCredit ritira il cartello «vendesi» dalla controllata Pioneer. L'intenzione di archiviare la gara, partita più di un anno fa quando c'era ancora come amministratore delegato Alessandro Profumo, sarebbe stata già annunciata dal nuovo vertice di Piazza Cordusio – stando alle indiscrezioni – ai potenziali compratori e ai loro advisor. Nei giorni scorsi, il vertice di UniCredit avrebbe infatti comunicato informalmente ai tre possibili acquirenti che Pioneer – asset manager internazionale del gruppo – resterà all'interno del gruppo e non sarà ceduta né aggregata perché le offerte non sono state considerate soddisfacenti.
L'avviso sarebbe stato indirizzato soprattutto ai tre big competitor, interessati a rilevare-integrare l'intero perimetro del gruppo Pioneer, che fin dall'inizio avevano partecipato alla procedura arrivando fino alle offerte preliminari: i francesi di Amundi (Credit Agricole–Société Générale), quelli di Natixis e i britannici di Resolution.
La decisione formale sarà presentata nei prossimi giorni, quando si riunirà il board che precede l'assemblea, dal nuovo chief executive officer Federico Ghizzoni ai membri del consiglio di amministrazione, che mesi fa aveva dato un mandato esplorativo al top management per esaminare gli eventuali vantaggi di una cessione. Dopo una lunga procedura, durata mesi e non sempre lineare a detta delle controparti, nei giorni scorsi Ghizzoni e i suoi collaboratori hanno tirato le somme e hanno deciso di non procedere all'alienazione di Pioneer.
In mezzo, non influenti e forse decisive, le prese di pozione informali delle Autorità domestiche (Ministero dell'Economia e Bankitalia) che hanno fatto sapere a UniCredit di non gradire la cessione del grande asset manager domestico – tra i primi investitori finanziari del Paese, anche sul versante dei titoli di Stato – a soggetti esteri. E questo, prima ancora che divampasse la contesa tra Italia e Francia sugli asset strategici del Paese.
Proprio in chiave "italiana", nelle scorse settimane è stata esplorata anche un'ipotesi tutta domestica di aggregazione tra le grandi Sgr di UniCredit (Pioneer) e di Intesa Sanpaolo (Eurizon). «È un dossier che è stato esaminato qualche tempo fa, ma oggi non ci sono più contatti», ha commentato due giorni fa l'amministratore delegato di Intesa Sanpaolo Corrado Passera. Un'aggregazione che, si diceva, fosse particolarmente gradita alle Autorità, proprio per creare un "campione nazionale" del risparmio gestito che si candidasse come "serbatoio" naturale di titoli domestici in caso di emergenza finanziaria.
Il merger non si è fatto ma, in questa fase critica per tutti i Paesi dell'Ue, quello che davvero interessava alle Autorità nazionali è che la gestione del risparmio rimanesse in Italia e non fosse gestita all'estero. È quello che, alla fine, ha deciso di fare UniCredit sposando la moral suasion delle Autorità italiane con la scarsa convenienza finanziaria delle offerte arrivate dai soggetti esteri per Pioneer.
Con quali conseguenze per UniCredit? Se sul fronte Pioneer, a quanto pare di capire, l'idea di fondo è quella di rafforzare il management e spingere a una crescita e valorizzazione della società, resta aperto il nodo delle dismissioni alternative (necessarie al rafforzamento patrimoniale) che il gruppo potrà decidere di mettere in cantiere. L'ipotesi più probabile è che, come anticipato da Ghizzoni, UniCredit punti a una rivisitazione delle partecipate nell'Europa dell'Est. Indirizzandosi sulla cessione di alcuni asset. Per poi, magari, tornare a crescere in futuro in altre aree ritenute più profittevoli.
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