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Questo articolo è stato pubblicato il 12 aprile 2011 alle ore 07:53.

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Appuntamento di routine questa mattina in Piazzetta Cuccia, con il comitato esecutivo e il consiglio di amministrazione di Mediobanca. In agenda, nella consueta riunione mensile del board, non ci sono temi che presuppongano la necessità di comunicazioni al mercato. Ma è questo il primo appuntamento in cui si ritroveranno faccia a faccia molti dei protagonisti della vicenda che ha portato all'uscita di Cesare Geronzi dalle Generali. Compagnia di cui era diventato presidente meno di un anno fa, arrivando a Trieste proprio col viatico di Mediobanca, sebbene il passaggio al vertice del Leone non fosse stato inizialmente nè condiviso, nè supportato, dal management della banca d'affari.

Nel board di Piazzetta Cuccia l'ad Alberto Nagel, che si è assunto il compito di informare Geronzi della protesta montata in sfiducia nella maggioranza del consiglio di Generali, si ritrova intorno al tavolo di casa anche chi non avrebbe avvallato, in autonomia, lo strappo con il banchiere fattosi assicuratore. C'è il capofila della cordata transalpina, titolare del 10% nel patto, Vincent Bolloré, che, da vice-presidente di Generali, è stato contestato da buona parte degli amministratori della compagnia per le posizioni prese, e comunicate all'esterno, sulla joint Ppf con il finanziere ceco Petr Kellner. E c'è anche il finanziere franco-tunisino Tarak Ben Ammar, indipendente in quota transalpina, ma amico storico del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che aveva difeso Bolloré, spiegando che dopotutto il finanziere bretone aveva semplicemente chiesto spiegazioni su contabilizzazioni che avrebbero potuto far pensare all'ipotesi di falso in bilancio.

Al consiglio del Leone del 6 aprile, al quale Geronzi non aveva poi partecipato avendo presentato le sue dimissioni, Nagel e il direttore generale dell'istituto, Saverio Vinci, avevano contribuito però a smorzare i malumori contro il vice-presidente francese che molti volevano ridimensionare. Dal consiglio Bollorè è uscito poi indenne ed è quindi immaginabile che oggi non avrà interesse a riaprire la questione.

Nel consiglio di Mediobanca sono presenti anche due consiglieri molto vicini al premier che, si dice, si sarebbe irritato per non essere stato informato della defenestrazione di Geronzi da Generali. Del resto era all'oscuro di quello che stava bollendo in pentola anche il top management della banca, esclusi il presidente Renato Pagliaro oltre ovviamente all'ad e al direttore generale che siedono nel board di Trieste. Nel cda di Piazzetta Cuccia c'è infatti Ennio Doris, patron di Mediolanum, che è in joint con Mediobanca in Esperia. E c'è, per Mediaset, Marina Berlusconi. Ma dall'entourage di entrambi non arrivano segnali di guerra.

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