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Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2011 alle ore 06:42.

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La paghe d'oro sono tornate ai vertici della Corporate America. Spesso con pacchetti multimilionari – e talvolta da decine di milioni – capaci di far impallidire le remunerazioni europee.
Il compenso mediano di un chief executive è stato, per il 2010, pari a 9,6 milioni di dollari, un aumento del 12% dopo gli anni «magri» segnati dalla crisi. E i re della classifica finora più completa, compilata dalla Equilar per conto del New York Times, anzichè protagonisti della finanza sono nomi dei media, dell'hi-tech, dell'energia e dell'industria. Su tutti Philippe Dauman dell'impero mediatico Viacom: ha portato a casa 84,5 milioni. In soli nove mesi, perchè la società ha cambiato l'anno fiscale facendolo finire a settembre. La paga è stata gonfiata da un premio speciale in azioni scattato dopo la firma di contratto pluriennale. Ma si è lasciata nettamente alle spalle quella del banchiere più pagato: Jamie Dimon di JP Morgan con i suoi oltre 20 milioni.
La super-paga di Dauman non è un caso isolato: Ray Irani, leader incontrastato della Occidental Petroleum e da sempre in vetta alle classifiche dei compensi, l'anno scorso ha ricevuto 76,1 milioni, tra cui un bonus in contanti da 33 milioni. Cifre rese ancor più significative dall'impennata sull'anno precedente: +142 per cento. Un'altra vecchia conoscenza di queste graduatorie è al terzo posto: Lawrence Ellison di Oracle, il gigante del software, con 70,1 milioni. Nel suo caso, paradossalmente, si tratta di un taglio di «stipendio»: per il 2009 Ellison lui aveva intascato il 17% in più. Altri compensi si sono fatti notare: nell'auto Alan Mulally di Ford, l'unica tra le tre aziende di Detroit a non aver ricevuto soccorsi federali durante la recessione, ha preso in tutto 26,5 milioni, un incremento del 48% grazie a un premio in titoli.
La riscossa dei compensi è stata evidenziata anche da un'analisi della società di consulenza Hay Group commissionata dal Wall Street Journal. La ricerca aveva sottolineato la nuova avanzata della componente dei bonus: l'incremento mediano tra 50 grandi società americane è stato l'anno scorso del 30,5%, il più forte in tre anni. Le aziende considerate, con oltre quattro miliardi di fatturato annuo, hanno sborsato premi per 126,1 milioni contro 83 per il 2009. Resta adesso da vedere come reagiranno gli azionisti: con le riforme a Wall Street hanno maggior voce in capitolo, pur se consultiva, sulle politiche retributive.
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