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Questo articolo è stato pubblicato il 16 aprile 2011 alle ore 09:32.
La grande preoccupazione che giovedì aleggiava sui partecipanti del vertice Brics di Sanya, nell'isola tropicale di Hainan, il giorno dopo si è subito concretizzata in cifre: le economie di Cina e India marciano davvero a passo spedito, a vantaggio della ripresa globale, ma corrono il rischio di surriscaldarsi.
E quindi di farla inciampare. Il colpevole numero uno sono i prezzi dell'energia, accesi dalle crisi in Nordafrica e in Medio Oriente. Così, dati sull'inflazione superiori alle previsioni di mercati ed economisti anche in Asia, come in America e in Europa, accompagnano le statistiche sulla crescita, e rafforzano l'attesa di nuovi rialzi dei tassi di interesse: strada peraltro già imboccata dalla Cina come dall'India e da Vietnam, Taiwan, Corea del Sud e Thailandia.
Tra gennaio e marzo l'economia cinese è cresciuta del 9,7% - era atteso un 9,5% - accompagnata in marzo da un aumento dei prezzi al consumo del 5,4% rispetto all'anno precedente, in progressione dal +4,9% di febbraio malgrado la Banca centrale sia intervenuta sui tassi già quattro volte da ottobre, e malgrado abbia aumentato le riserve obbligatorie delle banche, per frenare i prestiti. L'inflazione non toccava certi livelli dal luglio del 2008. Di fronte a una crescita che il presidente cinese Hu Jintao ha descritto ieri come «ancora sbilanciata», promettendo di incoraggiare i consumi interni, il suo capo del Governo Wen Jiabao ha ribadito che Pechino userà tutti gli strumenti a propria disposizione per mettere le briglie ai prezzi: «È la priorità per noi quest'anno, il compito più urgente», aveva detto Wen nei giorni scorsi. È l'inflazione alimentare quella che più preoccupa i dirigenti cinesi, quella che incide di più sui poveri minacciando di trasformarsi in scontro sociale. In marzo in Cina i prezzi dei generi alimentari sono cresciuti dell'11,7%, accompagnati da rialzi analoghi nel settore immobiliare.
Anche in India le forze che alimentano l'inflazione si rivelano superiori a ogni previsione: e i prezzi all'ingrosso, che la Banca centrale immaginava contenuti in un aumento dell'8% per fine marzo, sono cresciuti in realtà il mese scorso dell'8,98%: trainati dagli aumenti del petrolio (l'India importa tre quarti del proprio fabbisogno energetico) e dei generi alimentari (la frutta +23%), incoraggiati da un'economia che nell'anno finanziario iniziato il 1°aprile dovrebbe crescere del 9,25%, sempre più vicina ai livelli cinesi.
Se in febbraio la produzione industriale indiana aveva improvvisamente rallentato, altri indicatori suggeriscono una tenuta della ripresa: le vendite di auto, il recente indice dei manager d'acquisto, la raccolta fiscale e i crediti bancari. Ma se la domanda si manterrà superiore all'offerta, «una risposta monetaria è garantita», ha già avvertito il vice governatore della Reserve Bank, Subir Gokarn. Il prossimo passo è atteso per il 3 maggio: la Banca centrale indiana ha già alzato i tassi otto volte dall'inizio del 2010. Oggi il repurchase rate è al 6,75%, e per New Delhi come per le altre capitali asiatiche il rischio sono i flussi di capitali speculativi attratti dai tassi superiori, nel momento in cui l'economia avrebbe invece bisogno di dirottarli sui grandi progetti infrastrutturali di cui il Paese ha bisogno. Mentre di fronte ai suoi 800 milioni di poveri - e con elezioni locali in corso - il Governo non può non tradurre in sussidi la pressione dei prezzi alimentari: mettendo ulteriormente alla prova i propri conti.
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