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Questo articolo è stato pubblicato il 26 aprile 2011 alle ore 07:45.
Da domani si cambia. Per la Fed inizia una nuova fase: con l'avvio delle conferenze stampa trimestrali - simili a quelle della Bank of England - la banca centrale Usa dovrà affrontare una sfida impegnativa. Non a caso, in un momento piuttosto delicato, perché la politica fiscale è in difficoltà e si avvicina la fine del quantitative easing 2, la politica di acquisti di titoli pubblici.
Le domande, domani sera alle 20.15 ora italiana, si concentreranno soprattutto su quest'ultimo punto. Il mercato si è posto molti interrogativi sul destino della strategia non-convenzionale della Fed, che dovrebbe esaurirsi a fine giugno. Ha innanzitutto immaginato una sua estensione, un QE3, un'idea che però è presto svanita come i sogni al risveglio. Anche perché i "falchi" della banca centrale hanno avanzato l'ipotesi di sospendere gli acquisti in anticipo.
Ora gli investitori si sono convinti invece che a giugno il bilancio Fed raggiungerà il suo punto massimo. Non sanno ancora però - e per questo chiederanno lumi - cosa accadrà poi. Le ipotesi sono due: l'inizio di una contrazione, o il mantenimento dei livelli raggiunti. È questa l'ipotesi più desiderata e considerata più probabile. Prevede di reinvestire in Treasuries tutti i titoli in scadenza. Hanno una durata residua minore di un anno bond per 143 miliardi: in media quasi 12 miliardi al mese, che permetterebbero di tener sotto controllo i rendimenti per qualche tempo. Il presidente Ben Bernanke, in fondo, ha già spiegato che il primo passo per l'exit strategy non sarà la riduzione del portafoglio, ma l'innalzamento del tasso delle riserve. Come fece qualche anno fa la Nuova Zelanda dopo aver quadruplicato il suo bilancio.
Avere chiarezza su questo punto è molto importante: contrariamente a quanto accade alla Bce, dove gli acquisti di titoli sono tenuti - nei limiti del possibile - separati dalla politica monetaria in senso classico, alla Fed le dimensioni del bilancio sono esplicitamente tradotte in una ulteriore riduzione del costo del credito. Come ricorda Giovanna Mossetti di Banca Intesa, gli acquisti di titoli effettuati dallo scoppio della crisi in poi equivalgono, secondo la banca centrale Usa, a un taglio dei tassi compreso tra 1,50 e 2,25 punti percentuali. Una contrazione del bilancio a giugno sarebbe quindi letta dagli investitori come un irrigidimento "passivo" della politica monetaria.
È proprio nelle percezioni dei mercati che sorgono le vere difficoltà di Bernanke. La fine degli acquisti non dovrebbe avere molti effetti, in realtà. Perché, spiega Michael Feroli di JPMorgan, «le quotazioni guardano al futuro, dovrebbero già incorporare tutte le informazioni note, e quindi l'arrivo di notizie già anticipate non dovrebbe avere ricadute su questi prezzi»; e perché, dice la Fed, le dimensioni del bilancio, lo stock, hanno più effetti dei flussi di acquisti in un certo periodo, i flussi.
Non tutti sono d'accordo, però, e molti ricordano che quando è terminata la prima fase del quantitative easing, le borse sono cadute. Per Feroli è un caso: «È stato un po' come vedere Il mago di Oz ascoltando Dark Side of the Moon dei Pink Floyd: anche se le due opere si allineano in qualche punto, è una questione di coincidenze, non di causalità». L'economista ammette però che le aspettative sono importanti: se gli investitori credono che la fine del QE2 avrà effetti importanti, allora anche l'annuncio di novità scontate potrà avere ripercussioni. Sul dollaro, come sempre, più che su ogni altro asset.
La reattività dei mercati è oggi infatti più acuta del solito. Sulle percezioni degli investitori pesa la questione del giudizio negativo della S&P's, che ha annunciato di poter declassare i titoli di stato Usa nel 2013 se la politica fiscale non sarà uscita dall'attuale stallo. Nulla è cambiato davvero, in realtà, ma l'agenzia di rating ha messo con forza il tema all'ordine del giorno, coinvolgendo di fatto anche la banca centrale. La politica monetaria Usa appare infatti, agli occhi di tanti, come una monetizzazione del debito pubblico. Per la Fed non è così, si sta solo sostituendo a un asset, i bond, un altro asset "intermedio", le riserve delle banche e alla base di tutto, spiegano, ci sono sempre i risparmi di famiglie e aziende non finanziarie. Forse non è così semplice, e sicuramente la cosa non è chiara a tutti. La sfida nella sfida, per Bernanke, sarà allora spiegare - qualunque decisione venga presa - che la Fed è indipendente dalla politica.
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