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Questo articolo è stato pubblicato il 26 aprile 2011 alle ore 06:42.

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La violenza in Medio Oriente e la debolezza del dollaro tengono in ostaggio i prezzi del petrolio. E se i recenti rincari - ieri le quotazioni hanno oscillato nervosamente - minacciano di dare filo da torcere a economia e consumatori, promettono invece di gonfiare di profitti i forzieri delle regine internazionali dell'oro nero. Che potrebbero aver chiuso i conti del primo trimestre dell'anno con incrementi a volte superiori al 50 per cento.

Nel 2011, di questo passo, le grandi «sorelle» del greggio appaiono avviate a eguagliare il record di utili fatto segnare nel 2008. L'americana Exxon Mobil, la principale società del settore al mondo per capitalizzazione di Borsa indipendente da governi, solleverà il sipario sul suo primo bilancio trimestrale 2011 giovedì 28 aprile, inaugurando la nuova stagione d'oro: le attese sono di un'impennata che sfiori il 60% e i 10 miliardi di dollari.
La spirale degli aumenti e delle loro ripercussioni - leggi: costo del carburante - ha sollevato anche lo spettro di eccessive speculazioni sul mercato. Paure e tensioni, agli occhi di Washigton, potrebbero non bastare a spiegare il fenomeno, visto che al momento in realtà le forniture di greggio appaiono adeguate alla crescita globale, men che robusta. Il presidente Barack Obama la scorsa settimana ha ordinato la nascita di una speciale task force del Dipartimento della Giustizia per «estirpare ogni caso di truffa o manipolazione che condizioni i prezzi della benzina». Nel mirino ha messo, esplicitamente, eventuali «attività illegali di trader e speculatori». In passato, tuttavia, simili indagini hanno raramente sortito esiti rilevanti. Obama, davanti alla prospettiva di performance record delle imprese, ha inoltre rilanciato l'obiettivo di eliminare fino a quattro miliardi di dollari di incentivi fiscali annuali che oggi finiscono al settore.

Nel clima di incertezza a New York un barile di greggio ha inizialmente toccato nuovi massimi da due e mezzo: il Wti, West Texas Intermediate, il benchmark sulla piazza americana, ha raggiunto i 113,48 dollari prima di scivolare per realizzi di profitto a 112,28 dollari, in calo di un centesimo. Un barile di Brent, il greggio di riferimento in Europa, è a sua volta prima lievitato dello 0,5% per poi perdere 34 centesimi a 123,65 dollari. Nei primi tre mesi dell'anno, comunque, il Wti ha guadagnato in media circa il 20% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, il Brent il 38 per cento.
Le rivolte e proteste in Siria e Yemen hanno sollevato lo spettro di un crescente contagio regionale dell'instabilità, che possa danneggiare produzione e esportazione di greggio. Se i due paesi non sono tra i protagonisti del mercato petrolifero, il timore è che possano tremare nazioni quali l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi. La flessione del dollaro, valuta di riferimento per la compravendita di greggio, ha fatto il resto quando si tratta di rincari.

I conti delle società sono stati premiati, oltre che dalla corsa delle quotazioni, da impennate nei margini di profitti della raffinazione. Stando a stime della Bp, i margini su scala globale sarebbero triplicati nei primi tre mesi dell'anno rispetto al 2010. Una spinta insolita è arrivata inoltre dalla marcata differenza tra il prezzo del Wti e del Brent, perchè un'importante parte della produzione di tutte le grandi aziende - da Africa, Medio Oriente e Asia - vanta i più alti prezzi del Vecchio Continente.
Non tutte le performance individuali brilleranno allo stesso modo. La britannica Bp dovrebbe ancora risentire del disastro del Golfo del Messico. Ma la norma sarà casse ricolme: Shell, secondo gruppo alle spalle di Exxon, dovrebbe far registrare un incremento del 22 per cento. Un'altra americana, Chevron, sarebbe in procinto di annunciare un aumento fino al 33% a circa sei miliardi. ConocoPhillips non dovrebbe essere da meno. I riflettori resteranno anzitutto puntati su Exxon: era stata lei nel 2008 a intascare utili senza precedenti per l'intera Corporate America, 45,2 miliardi. Quel traguardo, se i prezzi proseguiranno l'ascesa (nel 2008 raggiunsero i 147 dollari al barile), potrebbe tornare a portata di mano.

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