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Questo articolo è stato pubblicato il 29 aprile 2011 alle ore 07:37.

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L'ultima trimestrale di Deutsche Bank ha fatto faville. La banca tedesca ha realizzato tra gennaio e marzo il secondo miglior trimestre della sua storia.
E con Deutsche sono tornati a fare utili pressoché tutte le grandi banche: da Ubs a Credit Suisse solo per citarne alcune. Per tutte quelle che fanno utili il contributo maggiore viene in generale dalle attività Ficc. Cosa sono? È l'area del reddito fisso, del valutario e delle commodities. Qui le grandi banche, complici i tassi bassi, il carry trade e le materie prime in surriscaldamento, fanno trading a go-go.
E più volumi hai, grazie all'effetto leva dei derivati, più profitti puoi raccogliere. La tendenza è omogenea di qua e di là dell'Atlantico. Dal trading Goldman Sachs ha incassato ricavi superiori del 148% sull'anno prima; Morgan Stanley ha segnato un +137%; Bank of America ha aumentato i ricavi nell'area Ficc del 125%. È il trading forsennato a più che compensare le vischiosità in altre aree dopo la crisi Lehman. E anche qui torna a rifulgere in Usa come in Europa la ritrovata dinamicità del mercato della finanza strutturata: Abs; Cdo; Cmbs; Rmbs e via discorrendo stanno rivivendo una nuova stagione di gloria. Solo in Europa, secondo uno studio di Fitch, sono stati emessi nel 2010 strutturati per 336 miliardi; erano 396 nel 2009, e le stime indicano un mercato da 300-350 miliardi anche nel 2011.
Ma se il mercato è tornato vivace ci sono ancora strascichi pesanti della crisi Lehman nei bilanci dei big bancari europei. Sono i cosiddetti asset tossici o illiquidi. Prodotti derivati senza prezzo o meglio senza mercato che stanno lì dormienti, in attesa di tempi migliori, in pancia alle banche. A giugno 2010 tra i colossi del vecchio Continente i titoli tossici pesavano per 263 miliardi. Un valore tra l'altro in crescita sul 2009 che si era fermato a quota 248 miliardi. Certo la dinamica sull'annus horribilis, il 2008, è in forte contrazione rispetto ai 404 miliardi di allora. Segno che molti prodotti sono stati smaltiti. Buon segno. Ma resta quella coda velenosa che ancora agita qualche sonno. I 58 miliardi di asset illiquidi di Deutsche Bank a giugno 2010 sono solo il 3% dell'attivo, un peso tutto sommato più che accettabile, ma sono comunque più elevati del valore del patrimonio netto del gigante tedesco. Ora quegli asset sono scesi a 47 miliardi, scesi sì, ma ancora di valore analogo al patrimonio. Anche Credit Suisse sta rientrando da una percentuale del 5% dell'attivo a una più che dimezzata.
Resta il fatto che quegli oltre 260 miliardi di titoli senza valore di mercato sono le scorie della più grave crisi della finanza. E non c'è per ora nulla da fare, se non aspettare che il tempo ridìa senso a quella massa di prodotti messi nel congelatore. Nella speranza che nessuna nuova crisi sopraggiunga.

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