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Questo articolo è stato pubblicato il 30 aprile 2011 alle ore 09:12.

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Il mercato europeo dei credit default swap, quelle speciali polizze che permettono agli investitori di assicurarsi contro il rischio di insolvenza, finisce sotto inchiesta Antitrust. Anzi: sotto due inchieste. È il Commissario europeo Joaquin Almunia ad aver messo nel mirino questi strumenti derivati che al mondo valgono 26mila miliardi di dollari: da un lato, ha avviato un'indagine per capire se ci sia un abuso di posizione dominante nel rapporto tra 16 grandi banche e il provider Markit; dall'altro, ha aperto un accertamento per appurare se lo stesso rapporto "esclusivo" e distorsivo della concorrenza ci sia anche con la cassa di compensazione Ice Clear Europe.

Insomma: l'Antitrust vuole capire se la concorrenza sia stata falsata, sia nella gestione delle informazioni sia nel cosiddetto post-trading. Mettendo il dito in due piaghe di un mercato che di problemi – come dimostra l'inchiesta del Sole 24 Ore di ieri – ne ha decine: è ultra-opaco (i credit default swap non vengono scambiati in Borsa ma al telefono), è dominato da poche grandi banche (le prime 5 controllano il 95% del mercato Usa), influenza spesso le quotazioni sui mercati dei titoli di stato. «La mancanza di trasparenza può condurre a comportamenti abusivi – ammoniva ieri il Commissario Almunia –. Spero che la nostra inchiesta possa portare a un migliore funzionamento dei mercati finanziari e, di conseguenza, a una più sostenibile ripresa economica».

Le due indagini Antitrust
Il mercato dei credit default swap è sotto l'occhio del ciclone da anni, perché accusato di aver concorso alla crisi finanziaria. I Cds, così vengono chiamati in sigla, sono banali polizze assicurative: gli investitori le usano per coprirsi dal rischio di default di qualunque emittente obbligazionario. Il problema è che da strumenti di copertura sono diventati titoli per speculare, perché di fatto permettono di scommettere sulle probabilità di insolvenza di vari bond. Di proposte di riforma e di accuse negli ultimi due anni ce ne sono state tante. Ieri sono arrivate le ennesime: due inchieste avviate dalla Commissione europea.

Il primo accertamento riguarda la gestione delle informazioni: dato che non esiste una Borsa regolamentata, le maggiori informazioni sui credit default swap vengono fornite da un provider che si chiama Markit. Prezzi, volumi, indici, statistiche. A questo provider le informazioni arrivano in tempo reale dalle prime 16 banche del mondo, che hanno in mano l'intero mercato dei credit default swap. Il problema, per l'Antitrust europeo, nasce proprio qui: è possibile che Markit abbia di fatto il monopolio di queste informazioni, e che questo escluda qualunque altro provider dal mercato? Questo è l'interrogativo che l'Antitrust europeo si pone. Per questo, di sua iniziativa, ha avviato l'indagine: esaminerà il comportamento delle 16 banche (si tratta di JP Morgan, Bank of America, Barclays, Bnp, Citigroup, Commerzbank, Credit Suisse, Deutsche Bank, Goldman, Hsbc, Morgan Stanley, Rbs, Ubs, Wells Fargo, Credit Agricole e SocGen) e anche quello di Markit. Cercherà di capire se esistano clausole contrattuali che di fatto sanciscano il monopolio delle informazioni su Markit. Insomma: l'Antitrust europeo intende capire se la mancanza di concorrenza sia casuale o voluta.

Il secondo accertamento riguarda invece il rapporto tra 9 banche (Barclays, Bank of America, Citigroup, Credit Suisse, Deutsche Bank, Goldman, JP Morgan, Morgan Stanley e Ubs) e la cassa di compensazione Ice Clear Europe. Il problema, in questo caso, nasce da un'acquisizione: nel 2009 le nove banche vendettero proprio ad Ice una società, chiamata The Clearing Corporation. L'atto di vendita conteneva numerose clausole, che prevedevano commissioni agevolate e accordi di divisione degli utili. Questo è il potenziale problema: possibile che questi accordi diano a Ice una sorta di vantaggio competitivo rispetto ad altre società concorrenti? L'antitrust vuole vederci chiaro. Così, sempre di sua iniziativa, ha aperto un'indagine.

La fiera dell'opaco
In realtà di problemi il mercato dei credit default swap ne ha anche altri. E molto più grandi. Il principale deriva dal fatto che non esistono Borse ufficiali dove questi strumenti vengono scambiati: gli operatori di banche e fondi comprano e vendono queste polizze chiamandosi l'un l'altro al telefono. Sembra un paradosso: nell'era della tecnologia più esasperata, questi strumenti sofisticati vengono scambiati con la cornetta. Questo aumenta l'opacità: i prezzi non sono noti, gli spread denaro/lettera neppure. Si conoscono le informazioni statistiche, medie. Ma nessuno sa veramente cosa avvenga ogni giorno su questo mercato. E proprio questo fa paura: l'opacità.

Anche perché su questo mercato si scommette sull'affidabilità del debito di Stati, imprese, banche. E il problema ci riguarda da vicino: i Cds più diffusi al mondo sono infatti quelli sulla Repubblica italiana, per un importo nominale lordo di 271 miliardi di dollari. Molto diffusi anche i Cds su Paesi in crisi, come la Grecia. E proprio questo, nei mesi scorsi, aveva alimentato le polemiche: il timore di molti – impossibile da provare – è che i grandi investitori alzino in maniera speculativa gli spread dei credit default swap di paesi come la Grecia, per poi trarre profitto dal sottostante mercato dei titoli di stato. Insomma: il timore di alcuni è che i Cds siano il volano della speculazione.

E questo solleva l'altro grande problema: la concentrazione del mercato. In America l'Occ stima che il 95% del mercato Usa dei Cds sia in mano alle prime cinque banche. Ovvio che queste potrebbero muovere il mercato come vogliono. Potrebbero guidare le speculazioni. L'inchiesta della Commissione europea, seppur su aspetti specifici, è partita. Oltreoceano sono in corso altre indagini. Le proposte di riforma sono numerose. Tutte queste avranno successo solo quando, piegati i voleri della lobby bancaria mondiale, sui credit default swap arriverà la trasparenza.

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