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Questo articolo è stato pubblicato il 06 maggio 2011 alle ore 16:57.

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Il fermo degli impianti di produzione dell'Eni in Libia non avrà effetti negativi sul dividendo del gruppo per il 2011.

«La perdita è più che ampiamente compensata dalla fiammata dei prezzi del petrolio», ha dichiarato Paolo Scaroni dopo l'assemblea degli azionisti di ieri che ha approvato il bilancio del 2010, l'ha riconfermato amministratore delegato per i prossimi tre anni e ha eletto nuovo presidente Giuseppe Recchi e amministratore indipendente l'ex numero uno di UniCredit Alessandro Profumo.
Diverso sarebbe se la crisi libica dovesse protrarsi nel 2012 e il greggio dovesse scendere intorno ai 70 dollari al barile. In tal caso l'anno prossimo, ha Scaroni, l'Eni sarebbe costretta a rivedere la sua politica del dividendo. Ma per ora questo è soltanto uno scenario prudenziale. Nessuno oggi può mettere la mano sul fuoco sull'esito della crisi libica, anche se c'è chi scommette sulla definitiva uscita di scena di Muammar Gheddafi.

Il numero uno dell'Eni, comunque, non appare pessimista. Lo conforta quanto è accaduto in Egitto, dove il "cane a sei zampe" ha continuato a produrre e vendere greggio anche durante i moti di Piazza Tahrir. È convinto che il grosso dei problemi in Nord Africa resti circoscritto alla Libia e che l'incidente nucleare di Fukushima avrà come conseguenza un incremento degli impieghi del gas nella produzione di energia elettrica. Il ripensamento della politica nucleare su scala mondiale non potrà che avvantaggiare l'Eni, che ha nella produzione e nella vendita di metano uno dei maggiori punti di forza. Solo il Giappone dovrà aumentare l'import di gas di 10 miliardi di metri cubi l'anno.
Non sembrano preoccuparlo più di tanto nemmeno le tensioni sociali in Algeria, primo fornitore di metano dell'Italia attraverso la Sonatrach. «Sono stato ad Algeri settimana scorsa – ha dichiarato – e a me sembra che le proteste e la richiesta di una maggiore democrazia possano trovare un percorso non particolarmente traumatico. Il paese ha un esercito popolare che appoggia il governo ed è reduce da una guerra sanguinosa che ha fatto tra i 200 e i 250mila morti. Questo mi fa pensare che prima di passare alla violenza la gente ci penserà due volte, anche se bisogna essere cauti nelle previsioni».

Con la Sonatrach e la russa Gazprom, l'Eni ha in corso negoziati, che potrebbero chiudersi nei prossimi mesi, per rivedere i contratti di importazione di gas nel lungo termine: contratti sottoposti alla clausola del take or pay, che impone all'acquirente di ritirare dal venditore le quantità annue pattuite o, in caso di mancato ritiro, di pagarle comunque subito per poi rilevarle nei successivi esercizi. Questi contratti pesano sul bilancio dell'Eni, tra il 2011 e il 2015, circa 15 miliardi di euro l'anno e le trattative vertono su modifica sia del prezzo del gas sia della cluasola del "prendi o paga". Scaroni tuttavia avverte che il take or pay non è, come erroneamente si pensa, una penale, ma una forma di pre-pagamento «che, nelle situazioni in cui i prezzi del gas salgono, può rivelarsi un affare».

Durante l'assemblea il top manager ha rintuzzato le critiche di chi lamentava il mancato raggiungimento della soglia di produzione annua dei 2 milioni di barili equivalenti di petrolio, la vita residua delle riserve di poco superiore a 10 anni e la crescita dell'indebitamento finanziario totale (24,7 miliardi di euro al 31 dicembre 2010 e una posizione finanziaria netta di quasi 25 miliardi al 31 marzo 2011). Scaroni ha sottolineato che l'Eni ha concluso il 2010 con un utile netto di 6,3 miliardi (+45% rispetto all'anno precedente) e un utile netto rettificato (adjusted) di 6,9 miliardi (+32%). La cedola è di un euro per azione: al Tesoro andranno 157 milioni di euro. Sul risultato ha peraltro inciso negativamente l'accordo transattivo con il ministero dell'Ambiente per i progetti di bonifica di alcuni siti industriali dell'Eni, che ha comportato uno stanziamento straordinario al fondo rischi di 1,1 miliardi e minori profitti per il gruppo per 783 milioni di euro. Ha poi aggiunto che non considera affatto pochi i dieci anni di vita delle riserve (ossia i ritrovamenti su cui sono stati già effettuati gli investimenti per l'entrata in produzione). «Ciò che più conta è disporre di molte risorse di idrocarburi su cui andare a investire e l'Eni ne ha per 30 miliardi di barili, pari a circa 30-40 anni di vita residua». Quanto al taglio di rating di Fitch, legato soprattutto alla crisi in Nord Africa, Scaroni ha detto di non avere «rapporti forti» con l'agenzia e di avere «colloqui continui con Moody's e S&P».

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