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Questo articolo è stato pubblicato il 07 maggio 2011 alle ore 09:44.

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Un salto indietro nel tempo a un anno fa, a un periodo che sembrava ormai dimenticato. Stessi protagonisti, stesse conseguenze: la Grecia che torna al centro della bufera per il debito e l'euro che viene pesantemente colpito sul mercato. L'occasione stavolta l'hanno fornita le indiscrezioni su un possibile abbandono della moneta comune da parte di Atene.

Voci che hanno trovato terreno fertile fra gli operatori perché nel frattempo si sono accompagnate a rumor su una riunione straordinaria a Lussemburgo dell'Eurogruppo per discutere sul tema.
Il risultato è che l'euro si è ritrovato in poco tempo a 1,4350 dollari, quando due giorni prima stava attaccando quota 1,50, una soglia che non si vedeva da un anno e mezzo. A poco sono valse le parziali conferme: il summit si è effettivamente tenuto ma, pur trattando dei problemi del debito di Grecia e Portogallo, non avrebbe avuto all'ordine del giorno una discussione sul ritorno in circolazione della dracma. Né le secche repliche: una fonte vicina al primo ministro greco, George Papandreou ha «smentito categoricamente» l'ipotesi, che è stata definita «totalmente fantasiosa» dal ministro delle Finanze francese Christine Lagarde.

Il gioco di ieri pomeriggio è stato infatti quello di vendere euro per rifugiarsi nel dollaro, anche a scapito delle altre valute visto che il biglietto verde è avanzato pure nei confronti di yen, sterlina e franco svizzero. Ed è stato anche quello di rifugiarsi nella sicurezza del bund, colpendo contemporaneamente gli anelli deboli e più liquidi della catena europea: i BTp italiani, che hanno visto improvvisamente aumentare il differenziale di rendimento nei confronti dei titoli tedeschi da 151 a 162 punti base, e le obbligazioni spagnole (spread da 198 a 205).

A ben vedere il movimento dell'euro era già cominciato alla vigilia, innescato dalla conferenza stampa del presidente della Banca centrale europea (Bce), Jean-Claude Trichet. Le sue parole avevano soltanto allontanato di un mese, da giugno a luglio, le attese per un nuovo rialzo dei tassi. Eppure erano state sufficienti per avviare le vendite sulla valuta comune, facendola scendere da quota 1,49 dollari fino a 1,45. Col senno di poi c'è da pensare che, dietro una reazione per certi versi esagerata, ci fosse anche lo zampino di qualche investitore con buoni presagi sul tono della giornata di ieri.

La marcia al ribasso è poi proseguita nel primo pomeriggio, quando i mercati hanno conosciuto i dati migliori delle previsioni sul mercato del lavoro statunitense. L'ipotesi di rafforzamento della ripresa economica made in Usa aveva dato agli operatori buoni motivi per acquistare dollari e quindi penalizzare ulteriormente l'euro facendogli scendere un altro gradino fino a 1,45. L'ultimo passo, però, è tutto dovuto alla bagarre sulla Grecia, che ha anche frenato Wall Street (Dow Jones a +0,4%) e non i listini europei (ma soltanto perché erano già chiusi: a Milano il Ftse Mib ha registrato un +0,98%, a Francoforte il Dax ha chiuso a +1,56%).

Curioso che, come in passato era già accaduto, la bordata verso Atene sia arrivata dalla Germania. Così come lo scorso anno erano state le parole del cancelliere Angela Merkel o di altri ministri tedeschi, ieri è stato lo Spiegel Online a rilanciare la notizia del vertice e dell'abbandono dell'euro. Curioso perché, in fondo, le banche teutoniche (e Deutsche Bank in primis) sono le più esposte insieme a quelle francesi nei confronti della Grecia. Ogni difficoltà sul Mar Egeo rappresenta prima di tutto una minaccia per quegli istituti di credito.

Per chi vede le forze della speculazione sempre in agguato dietro l'angolo, un indizio simile può rappresentare più di una prova delle macchinazioni degli investitori a danno della Grecia e dell'euro. Chi invece continua a credere nei meccanismi autocorrettivi del mercato tende ad attribuire i movimenti di questi giorni al semplice alleggerimento delle posizioni a favore dell'euro, divenute eccessive. Di sicuro, la discesa della valuta comune è stata così rapida (in due giorni ha perso il 4% sul biglietto verde) che potrebbe aver messo in difficoltà più di un hedge fund che non avesse coperto la propria esposizione in valuta. «Qualcuno – si faceva notare beffardamente sui siti specializzati in serata – potrebbe averci lasciato le penne».

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