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Questo articolo è stato pubblicato il 07 maggio 2011 alle ore 09:44.

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Un crollo di quasi 17 dollari. Dal loro debutto, nel 1983, non era mai successo che i futures sul Wti perdessero così tanto nel giro di una settimana. In termini percentuali il ribasso (-14,7%) non è il peggiore in assoluto: a dicembre del 2008, nel pieno della crisi finanziaria scatenata dal collasso di Lehman Brothers, era capitato che il barile si deprezzasse del 26,8% da lunedì a venerdì. Ma il confronto non è certo incoraggiante.
Il greggio, così come le altre materie prime, ieri ha provato più volte a rimbalzare dopo la disastrosa seduta di giovedì. Lo spunto fornito dai dati sull'occupazione Usa – finalmente una notizia incoraggiante, dopo tanti segnali negativi nei giorni scorsi – si era dimostrato in un primo momento così efficace nel risollevare i prezzi da indurre qualche analista ad annunciare prematuramente una schiarita dopo la tempesta. L'illusione si è dissipata nel giro di poche ore. Il petrolio ha chiuso anche ieri in ribasso (-2,6% per il Wti a 97,18 $/barile, -1,5% per il Brent a 109,13) e lo stesso hanno fatto molte altre commodities. Il recupero, molto parziale, è riuscito solo in pochi casi, quasi tutti concentrati tra i metalli non ferrosi al London Metal Exchange, Borsa che chiude le contrattazioni in anticipo rispetto alle altre.

Confusione e nervosismo sembrano essere gli umori dominanti, alternati a momenti di vero e proprio panico. Il risultato più eclatante è stata una vera e propria esplosione della volatilità, concentrata soprattutto sulle commodities che appaiono più esposte alla speculazione. L'argento – ancora in calo, seppure di pochi centesimi – ha oscillato fra 33 e oltre 36 $/oz, l'oro tra 1.470 e 1.498 $ (entrambi in serata risultavano quasi invariati rispetto alla chiusura di giovedì).
Per il petrolio le oscillazioni di prezzo sono state di circa 10 dollari: una volatilità spaventosa, pericolosissima non solo per gli operatori di mercato (per molti fondi sarà probabilmente un bagno di sangue), ma in prospettiva, se destinata a durare, anche per la crescita economica. Un'eccessiva variabilità dei prezzi rende infatti impossibile un'adeguata pianificazione degli investimenti e delle politiche monetarie.

A un anno esatto dal flash crash a Wall Street il problema di limitare le oscillazioni estreme si pone di prepotenza anche per i mercati delle materie prime, investiti forse in misura minore – per adesso – dal trading superveloce, ma non per questo immuni dai rischi, come hanno dimostrato le sedute degli ultimi giorni, non solo sui mercati petroliferi (lunedì scorso l'argento è crollato del 12% in appena 11 minuti). Le difese sono per il momento inesistenti. Al Nymex, dov'è scambiato il greggio Wti, viene imposta soltanto una breve interruzione delle contrattazioni in caso di rialzi o ribassi superiori a 10 $ e nell'ultima ora della seduta viene abolito anche questo debole argine. All'Ice, il sempre più frequentato mercato del Brent, non esiste alcun limite.

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