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Questo articolo è stato pubblicato il 08 maggio 2011 alle ore 21:03.

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Siamo ancora ben lontani dalle cifre degli anni d'oro della bolla di Internet e della new economy. Ma i 5 miliardi di dollari riversati dal venture capital su start up del web nei primi quattro mesi dell'anno rappresentano una somma che non si vedeva dal 2000, alla vigilia dello scoppio della bolla finanziaria. Allora erano stati 55 miliardi in un anno. Ma la caccia a quella che potrebbe essere la prossima Facebook o Twitter, società che intanto proprio sull'onda della frenesia del Web 2.0, ha riportato il venture capital ai fasti di un decenni fa, stando agli ultimi dati resi noti da Thomson Reuters Deals Intelligence.

L'ondata di entusiasmo ripercorre per certi versi anche gli eccessi del passato, con società che vengono contattate ancora prima di mettersi sul mercato. I capitali hanno così bussato alla porta della Hearsay, provider di software specialistico di San Francisco, che ha raccolto 3 milioni di dollari senza fare nulla: «Onestamente non stavamo pensando di raccogliere fondi, ma ce li siamo trovati davanti», afferma la Ceo, Clara Shih, a Reuters Insider.

Di fronte a valutazioni di 70 miliardi di dolalri per Facebook e 15 miliardi per Grupon, diversi analisti non nascondo il timore di una nuova bollla finanziaria. «Molti venture capitalist negano che si tratti di una nuova bolla - commenta Dana Staider, partner del venture capital Matrix Partners -, ma quando le valutazioni raddoppiano in dodici mesi per la stessa società, con la stessa gente, a me sembra propria che si tratti di bolla».

Nei tre anni tra il '99 e il 2001, il venture capital investì 96,4 miliardi nelle startup internet, con una quota di oltre l'80% concentrata negli Stati Uniti. Oggi non è più così, secondo i dati di Thomson Reuters: degli oltre 5 miliardi investiti nel primo scorcio del 2011, solo 1,4 miliardi sono stati investiti negli Usa. Quasi tre quarti dei deals sono stati conclusi al di fuori degli Stati Uniti. Soprattutto i grandi deal avvengono fuori dagli Stati Uniti: tra le 25 operazioni più grosse dell'anno scorso, 15 sono al di fuori degli Usa. E quasi la metà, dodici operazioni, sono di matrice cinese.

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