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Questo articolo è stato pubblicato il 10 maggio 2011 alle ore 07:53.
Semplice e indolore. Per qualsiasi azionista di Piazza Affari la stagione dei dividendi è benvenuta anche perché l'incasso delle cedole non comporta una corsa ad "ostacoli". L'importo, al netto della tassazione, che per le azioni italiane è del 12,5%, viene accreditato dalla banca presso cui si possiede il dossier titoli direttamente sul conto corrente. C'è ovviamente l'effetto valuta per la quale intercorrono tre giorni dalla data dello stacco alla disponibilità effettiva delle somme incassate.
Occhio al prezzo
Il piccolo risparmiatore-azionista di fatto non deve fare nulla. Ma non può neanche aspettarsi che il giorno dello stacco del dividendo, il titolo si metta a correre. In genere accade il contrario: i titoli il giorno della distribuzione di parte degli utili finiscono per quotare ex dividendo. Cosa vuol dire? Semplice, che le quotazioni tendono a scendere in proporzione al valore delle cedole distribuite. Niente di cui sorprendersi. Il dividendo non è altro appunto che una quota dei profitti che anziché rimanere in azienda tornano nelle tasche degli azionisti. È come se si staccasse parte del valore del titolo ogni anno anziché accumularlo nel tempo.
Piazza Affari del resto è un mercato munifico: il cosiddetto dividend yield, cioé il rapporto tra cedole distribuite e prezzo, gira ogni anno intorno al 4-5%. Con titoli che vanno ben oltre la media. Come Telecom Italia che con l'ordinaria strutturalmente stacca un dividendo vicino al 6% del prezzo. Ma con cedole ricche si presentano in genere le utility come Enel, Terna, Snam Rete Gas. O il gigante petrolifero domestico l'Eni che nel 2010 conta su un dividend yield del 5,7%. Una volta erano particolarmente generose le banche. Ora dallo scoppio della crisi finanziari non più. Gli istituti di credito hanno ben altri pensieri che distribuire utili dimezzati rispetto al pre-Lehman. Devono ricapitalizzare un po' tutte. Quindi niente o pochi dividendi.
L'illusione delle alte cedole
Ma la cedola ha un valore segnaletico? Più cedole, più è in forma la società? Non proprio. Rischia di essere un' illusione ottica quella dei ricchi dividendi. Spesso chi deve erogare una mole alta di cedole lo fa perché deve ripagare un eccessivo debito. Negli anni questo è valso soprattutto per Telecom Italia che aveva necessità di ripagare l'elevato debito contratto all'epoca dell'Opa dei capitani coraggiosi. Se si guarda alle performance si scopre che gli alti dividendi non hanno compensato nel caso della società telefonica le perdite subite in borsa. A un anno il titolo è in positivo sia con che senza cedole. A tre anni però Telecom Italia è sotto del 23%, a 5 anni del 55%. Con le cedole incassate le perdite si riducono rispettivamente al 10 e al 41%. Ma restano pur sempre perdite. Peggio ancora è andata a Generali, titolo per eccellenza dei cassettisti che pur con le cedole staccate ha visto rendimenti negativi a due cifre sia a tre che a cinque anni.
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