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Questo articolo è stato pubblicato il 11 maggio 2011 alle ore 07:52.

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C'è una storia che racconta di un uomo che era stato condannato a morte dal re. Il monarca gli disse però che se avesse insegnato al suo cavallo a parlare nel giro di un anno, avrebbe avuto salva la vita. Il condannato accettò. Quando gli chiesero il motivo, rispose che tutto poteva succedere: il re poteva morire, oppure poteva morire lui, o magari il cavallo avrebbe davvero imparato a parlare.

Questo è stato l'approccio dei Paesi dell'euro alla crisi che ha risucchiato nel baratro la Grecia, l'Irlanda e il Portogallo, e che minaccia altri Stati membri. Le autorità hanno deciso di provare a guadagnare tempo nella speranza che i Paesi in difficoltà riuscissero a tornare credibili agli occhi dei mercati del credito. Finora questi sforzi sono falliti: il costo del debito non è diminuito, anzi è cresciuto. Nel caso della Grecia, il primo degli Stati membri a ricevere aiuti, le possibilità di tornare ad accedere ai mercati privati del credito a condizioni sostenibili sono irrisorie. Ma rimandare il momento del redde rationem non migliorerà le cose; al contrario, renderà più penosa la ristrutturazione del debito quando sarà il momento.

Il debito greco si avvia a superare il 160% del Pil. Forse perfino di più, come osserva uno studio di Nouriel Roubini. La Grecia potrebbe non riuscire a centrare i suoi obiettivi di bilancio a causa dell'impatto nefasto del risanamento dei conti pubblici sull'economia, o a causa della resistenza alle misure concordate. Il deprezzamento reale necessario per ripristinare la competitività, inoltre, farebbe crescere il rapporto debito/Pil, e se per converso questo deprezzamento non ci sarà a rimetterci rischierebbe di essere la crescita. L'euro potrebbe crescere di valore, penalizzando ancora di più la competitività greca. E infine le banche potrebbero non essere in grado di sostenere l'economia.

Con un debito del genere, quante possibilità ci sono che un Paese con dei precedenti come la Grecia riesca a finanziare il suo debito sul mercato a condizioni compatibili con una riduzione del debito stesso? Molto poche.
Ipotizziamo un interesse del 6% sui titoli di Stato greci a lungo termine, invece del 16% che abbiamo oggi. Ipotizziamo anche una crescita del Pil nominale del 4 per cento. Si tratta, si badi bene, di ipotesi estremamente ottimistiche. In questo scenario, soltanto per stabilizzare il debito il Governo di Atene dovrebbe registrare un surplus primario (prima degli interessi sul debito) del 3,2% del Pil. Per riportare il debito greco sotto la soglia del 60% del Pil prevista dal Trattato di Maastricht entro il 2040, servirebbe un surplus primario del 6% del Pil. Ogni anno, di conseguenza, bisognerebbe convincere o costringere i greci a pagare in tasse molto di più di quello che riceverebbero sotto forma di spesa pubblica.

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