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Questo articolo è stato pubblicato il 12 maggio 2011 alle ore 08:08.

Un chiarimento netto, quello di Angela Mer-kel. In gennaio a Berlino il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi aveva esplicitamente sostenuto in un colloquio con il cancelliere tedesco la candidatura di Mario Draghi alla presidenza della Bce. La Merkel, secondo alcuni testimoni, era rimasta in enigmatico silenzio. Per alcuni questo atteggiamento non lasciava speranza al governatore della Banca d'Italia. Altri vi avevano visto una reazione possibilista.
Ieri dopo settimane di tira-e-molla, di voci e smentite, di dichiarazioni allusive e di silenzi angoscianti, la signora Merkel ha preso finalmente posizione. In un'intervista al settimanale Die Zeit che uscirà oggi in edicola, ha spiegato: «Conosco Mario Draghi. È un uomo molto interessante e di grande esperienza. È molto vicino al nostro concetto di cultura della stabilità e di un'economia solida. La Germania potrebbe sostenere la sua candidatura per il posto di presidente della Banca centrale europea».
Fedele al suo stile, il cancelliere ha usato ancora una volta il condizionale: potrebbe sostenere, ha precisato. Quasi non fosse sicuro della candidatura del governo italiano? O per paura ancora una volta di esporsi troppo sul delicato fronte politico interno? Difficile da dire. Certo, gli ultimi mesi hanno mostrato come la vicenda della successione a Jean-Claude Trichet sia stata letta in chiave di politica interna, soprattutto dalla signora Merkel. Meno dagli altri esponenti del governo democristiano-liberale.
A dire il vero nessun membro dell'esecutivo ha mai preso posizione contro Draghi in questi mesi. In un'intervista al Sole-24 Ore pubblicata in novembre, l'allora ministro dell'Economia Rainer Brüderle aveva fatto le lodi del governatore italiano, lasciando ben sperare. Tuttavia in un anno elettorale - si vota in numerose regioni in Germania nel 2011 - e mentre la zona euro continua a fare i conti con la drammatica crisi debitoria in Grecia, Portogallo e Irlanda la cautela di molti esponenti politici è stata d'obbligo.
La paura di creare malumore in una Germania preoccupata all'idea che il timone della Bce potesse andare a un banchiere centrale proveniente dall'Italia, un paese poco impregnato di cultura della stabilità, ha avuto la meglio, soprattutto nella strategia della signora Merkel, ai minimi nei sondaggi. Poco alla volta però l'establishment si è arreso. In parte per le qualità del governatore italiano, in parte perché Berlino punta in cambio alla guida della Banca europea degli investimenti, in parte perché il naturale candidato tedesco alla Bce ha preferito lasciare la partita.
Non è chiaro francamente se la signora Merkel avrebbe fatto campagna per l'allora governatore della Bundesbank Axel Weber. In privato non pochi esponenti della classe politica tedesca avevano espresso perplessità sul banchiere centrale, troppo impulsivo. Lo stesso Weber sembra abbia abbandonato la corsa alla Bce in febbraio perché si è reso conto di avere un appoggio freddo da parte del suo stesso Paese. In questo senso il silenzio della signora Merkel nel suo colloquio con il premier Berlusconi è stato un momento significativo.
Peraltro, nella sua lunga corsa tedesca alla presidenza dell'istituto monetario di Francoforte, Draghi non ha fatto campagna da solo. Ha potuto godere del sostegno diretto e indiretto di molte personalità tedesche che ha frequentato negli anni 90, quando era direttore generale del Tesoro e mentre l'Italia penava a entrare nell'euro: in particolare Otmar Issing, allora capo economista della Bce e oggi consigliere del cancelliere per le questioni finanziarie, e Horst Köhler, allora segretario di stato al ministero delle Finanze, ed ex presidente della Repubblica.
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