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Questo articolo è stato pubblicato il 18 maggio 2011 alle ore 07:49.

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Il prezzo non è congruo in presenza di cambio del controllo: la valutazione del consiglio di amministrazione di Parmalat sull'Opa di Lactalis è stata unanime. Ma il parere del board di Collecchio non è vincolante e il presidente di Lactalis Italia, Antonio Sala, alla vigilia aveva già messo le mani avanti: «Il prezzo è quello». Cioè 2,6 euro per azione, corrispondente al prezzo medio pagato dai francesi per mettere assieme il primo pacchetto del 28,9% che dà al gruppo di Laval la ragionevole aspettativa di poter esprimere la maggioranza degli amministratori alla prossima assemblea del 28 giugno, chiamata anche a rinnovare il cda.

L'Opa è volontaria – e dunque il prezzo lo decide l'offerente – ma non spontanea, perchè senza l'intervento delle autorità italiane (Tesoro in testa) non sarebbe probabilmente mai stata lanciata. Lactalis, prima di decidersi all'oneroso passo (l'Opa è tutta a debito con pegno sulle azioni), aveva ribadito più volte che le bastava restare sotto la soglia del 30% per portare avanti il suo piano industriale. L'obiettivo è quello di gestire Parmalat conferendole le proprie attività nel latte (17% del fatturato del gruppo) per farne il polo europeo del settore con testa in Italia. Per comprare società, utilizzando la cassa – 1,4 miliardi di liquidità – non c'è bisogno del passaggio in assemblea: basta l'assenso del consiglio. Teoricamente, quindi, Lactalis non avrebbe nemmeno interesse ad aumentare il suo peso nel capitale di Collecchio rispetto alla quota già raggiunta e dunque nemmeno ad alzare il prezzo dell'offerta la cui conseguenza sarebbe quella di incentivare la consegna delle azioni, aumentando così l'onere del debito.

Infatti, in caso di adesione plenaria all'Opa, già a 2,6 euro il rapporto net debt/Ebitda del gruppo allargato a Parmalat (che apporta cassa e non debito) salirebbe allo scomodo valore di 4,1 volte. Un ritocco a 2,8 euro, lo stesso prezzo riconosciuto ai fondi Skagen, MacKenzie e Zenit per il loro 15,3%, farebbe aumentare il conto di 260 milioni, portando l'esborso massimo da 3,375 miliardi a 3,635 miliardi. L'indebitamento finanziario netto del gruppo allargato, nell'ipotesi di un'offerta tutta a debito che raccolga le adesioni del 100% del capitale, peggiorerebbe da 5,65 a 5,9 miliardi, con il rapporto net debt/Ebitda che salirebbe a 4,3 volte, sopra il limite dei covenant finanziari che comportano l'obbligo di mostrare una leva inferiore a 4,25 volte per fine 2011.

Al raggiungimento del 55% del capitale, soglia alla quale è vincolata la validità dell'offerta (con riserva dell'offerente di rinunciare alla condizione), l'indebitamento finanziario netto di gruppo sarebbe invece limitato a 3,5 miliardi con una leva, decisamente più gestibile, di 2,6 volte. Controllando l'assemblea straordinaria, che delibera con la maggioranza qualificata dei due terzi dei presenti, potrebbe poi proporre la fusione tra Parmalat e Lactalis Italia, compensando la cassa dell'una con i debiti dell'altra (805 milioni di indebitamento finanziario netto a fine 2010), operazione che al momento non è prevista ma non è nemmeno esclusa.

In definitiva, Lactalis ha tutto l'interesse a limitare l'esborso e al limite a restare dov'è, sotto il 30%: se le adesioni non consentissero di arrivare al 55%, avrebbe la "scusa" legale per non ritirare i titoli, tornando al piano A che aveva studiato all'inizio. Con tutta probabilità la proposta all'azionista sarà perciò un secco "prendere o lasciare". Cosa conviene fare?

Senz'altro aspettare fino all'ultimo: l'Opa partirà lunedì prossimo 23 maggio per concludersi l'8 luglio. Ma se anche il prezzo dell'Opa non dovesse essere ritoccato verso l'alto, non converrebbe mantenere i titoli in portafoglio nella posizione di azionista di minoranza. Varrebbe piuttosto la pena di considerare la vendita dei titoli sul mercato se il prezzo salirà sopra i 2,6 euro dell'Opa (ieri la quotazione finale di Borsa era di 2,61 euro), consegnando altrimenti le azioni all'offerta. A operazione conclusa, Parmalat avrà infatti comunque un nuovo "padrone" e non godrà più dell'appeal della contendibilità, il flottante si ridurrà rendendo il titolo meno liquido, non è più da attendersi un'extra-cedola dalle cause legali che son in via di esaurimento, e il peso del debito assorbirà cash-flow. C'è una considerazione di base per immaginare che il prezzo dell'Opa non si rivedrà più per un bel pezzo. Il valore di una società, l'enterprise value, è la somma di debito più equity. Oggi il valore del titolo Parmalat è solo equity (di cui 83 centesimi spiegati dalla cassa), ma domani con l'aumento del debito il valore dell'equity – e dunque il prezzo di Borsa – si ridurrà di conseguenza: tanto più salirà il debito, tanto più scenderanno le quotazioni.

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