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Questo articolo è stato pubblicato il 22 maggio 2011 alle ore 08:15.

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«Con il ricavato della vendita della mia azienda potevo stare comodamente a casa in pantofole. E invece eccomi qui a rischiare i risparmi». Pietro Rivizzigno è uno di quelli che il team innovazione di Intesa Sanpaolo definisce «startuppari seriali», imprenditori vulcanici che, messa in piedi un'idea, già pensano a quella successiva. Rivizzigno, che due settimane fa si trovava a New York per presentare la sua Glossom all'Italian Innovation Day (vetrina dell'eccellenza nazionale nella Grande Mela) è l'esempio di come la creazione di nuova imprenditorialità non sia un processo lineare che parte da un laboratorio montato in un garage (magari come quello di Palo Alto in cui è nata la Apple) per arrivare alla creazione di grandi marchi.
Anzi, la strada prediletta da molte start-up e spin-off universitari è proprio quella di fornire tecnologie e prodotti innovativi alle grandi aziende, che spesso rilevano l'idea. Una strada che, per esempio, Giovanni Venturini Del Greco ha già percorso più di una volta: la sua BioSolids Technologies, con sede in California, è infatti il proseguimento dell'esperienza iniziata a Firenze sempre nel campo dei biocarburanti.
Sono cinque le imprese in fasce del vivaio di Ca' de Sass che Intesa Sanpaolo, attraverso la Start-Up Iniziative (progetto della divisione corporate e investment banking guidata da Gaetano Micciché), ha appena portato negli Stati Uniti: alcune di loro sono già frutto del fenomeno della start-up seriale, altre, invece sono semplicemente delle promesse per il futuro: «Bisogna sfatare lo stereotipo dei giovani che partono da un garage e ottengono un finanziamento da una banca per un'idea geniale» spiega Livio Scalvini, responsabile innovazione della divisione corporate di Intesa. «Neanche in Silicon Valley le banche finanziano questi progetti; si tratta di investimenti ad alto rischio che hanno bisogno di strumenti adeguati. In Italia stiamo lavorando per sviluppare questi circuiti capaci di dare sostegno alle start-up».
Lo «startupparo» italiano, a parte il comune denominatore della creatività, non ha un profilo ben definito: qualcuno come Rivizzigno ha i capelli grigi e vanta un'esperienza pluridecennale nel settore della consulenza, altri sono decisamente più giovani, sebbene possano contare su un curriculum di altissimo livello costruito in Italia e all'estero. È, per esempio, il caso di Carlo Soresina, fondatore della piattaforma internet Skipso, che ha deciso di lasciare un posto di lavoro «nel mondo corporate» per iniziare la propria avventura e mettere a frutto i contatti con il Mit di Boston.
Certo, il settore in Italia soffre ancora molto e diversi sono i problemi da risolvere: «Da noi la strada per le imprese che vengono fuori dal mondo della ricerca è forse più difficile che altrove» racconta Gianpiero Tedeschi di Siena Solar Nanotech, azienda attiva nelle tecnologie per il fotovoltaico; in molti casi, poi, spiegano gli «startuppari», anche chi riesce a entrare in contatto con investitori americani spesso si trova davanti alla richiesta di trasferire la testa dell'azienda oltreoceano. Il lavoro, insomma, per imprenditori e operatori italiani del settore early-stage è ancora lungo; tuttavia fra le aziende scoperte da Intesa e presentate a New York, c'è anche chi è riuscito a fare dell'italianità un marchio vincente: è il caso di Porcovino.com, realtà con uffici in Italia e in Giappone che vende sul web vini e specialità culinarie del Belpaese. Loro gli Stati Uniti li vogliono conquistare: alla platea di investitori dell'Italian Innovation Day hanno chiesto infatti 2,8 milioni di dollari per replicare in terra americana il successo ottenuto in Giappone.
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