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Questo articolo è stato pubblicato il 24 maggio 2011 alle ore 07:58.

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Non si trova un investitore disposto a spendere parole entusiastiche su Linkedin: eccetto Henry Blodget, l'analista che, nelle follie del titolo al debutto in Borsa di giovedì scorso, ha ritrovato i bei tempi della bolla Internet del 2000. Eppure le quotazioni di Linkedin resistono assai bene e sopra gli 88 dollari valgono quasi il doppio del collocamento.

Si può ripetere che questa insana esuberanza sia destinata a svanire, che una capitalizzazione di 8,4 miliardi di $, pari a 35 volte i ricavi 2010 (o, se si preferisce, 22 volte quelli annualizzati del primo trimestre 2011) e un rapporto tra prezzo e utili di 550 volte (o di 1.050 volte il risultato annualizzato del primo trimestre), non ha ragione d'essere. Così la pensano i gestori italiani interpellati, che non hanno comprato un titolo.

Così dichiarano i grandi investitori esteri, compresi quelli che le azioni Linkedin le hanno davvero sottoscritte (e vendute il primo giorno), come ha ammesso Grant Bowers di Templeton. E così scrivono i più autorevoli giornali finanziari, come ha fatto Barron's nel fine settimana.

Ma, il fatto che, in una giornata di borsa assai pesante come quella di ieri, il titolo abbia perso il 5%, significa che Linkedin è ancora in grado di attrarre azionisti: sicuramente molti tra i piccoli day trader che, si sa, in queste occasioni speculative si buttano a pesce. Ma probabilmente anche qualche investitore dalle spalle più larghe. Come fanno osservare i broker, l'esiguità del flottante (circa 9 milioni di azioni su complessive 94,5 milioni) ha esasperato i comportamenti speculativi.

Ma non si può escludere che la valutazione di Linkedin, seppur gonfiata a dismisura, stia scontando una crescita reale della società. Chi, tra i professionisti e i manager di numerose imprese, utilizza il sito, spiega che il servizio funziona e che è destinato a prendere sempre più piede, soprattutto in Europa e Asia.

Ma le azioni restano care a questi prezzi e la prestigiosa Barron's scrive che possono dimezzarsi di valore e ritornare attorno ai 45 $ dell'Ipo. Se si dovesse paragonare Linkedin a Monster Worldwide, una sorta di ufficio elettronico di collocamento del personale, si griderebbe subito alla bolla speculativa. Monster, quotata dal 1996, capitalizzando meno di 2 miliardi con ricavi stimati per 1,1 miliardi nel 2011 e un utile di 55 milioni, mostra multipli più consoni a una tradizionale società che a una star di Internet. Ma anche Monster ha avuto i suoi bei momenti di euforia, visto che quotazioni di 60 $ toccate nel 2006 si confrontano con la chiusura di 14,6 $ di ieri.

Certo Linkedin è una cosa diversa: non un semplice ufficio virtuale dove trovare un posto di lavoro, ma un social network per professionisti. E giustamente c'è chi fa osservare come la capitalizzazione della società sia a forte sconto rispetto alle valutazioni di Twitter o di Facebook che si ricavano sul mercato grigio. Siamo perfettamente d'accordo. Ma il problema non è Linkedin. È questa nuova mania borsistica per i social network che ricorda troppo la bolla di 11-12 anni fa per ogni cosa che avesse a che fare con il Web.

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