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Questo articolo è stato pubblicato il 10 giugno 2011 alle ore 07:45.

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L'impegno del G-20 è di arrivare, per i derivati, a regole uniformi entro il 2012, data non facile da rispettare. Protagonisti principali sono gli Stati Uniti e l'Europa. L'America rappresenta da sola con 300mila miliardi nozionali, 20 volte il Pil, metà del mercato mondiale, e Wall Street resta la piazza di riferimento. Anche per questo l'Europa, per riflesso condizionato, aspettava fino all'autunno scorso di potersi ispirare a qualche valido modello americano. Poi una attenta analisi della legge Dodd-Frank di riforma finanziaria, firmata da Obama nel luglio 2010, e i rinnovati sforzi di Wall Street per aggirarla, hanno consigliato di procedere di concerto sì, ma con prudenza. La Dodd-Frank ha sui derivati numerosi ottimi spunti, ma è una complessa legge-compromesso tra chi voleva davvero riformare e chi voleva lasciare ampie scappatoie e, soprattutto, è una scatola semivuota che oltre 200 regolamenti devono riempire.

Oggi, in attesa che la Dodd-Frank prenda corpo, si sta continuando senza salvagente. In futuro le vie di fuga principali sono fornite dalla facoltà di restare nel mercato otc per gli end-users, gli utilizzatori finali, ad esempio una compagnia aerea per il carburante sui cui contratti fa uso di derivati. Attraverso la breccia molti end-users fittizi potrebbero passare. Lo stesso titolo VII della legge, sui derivati, offre anche, nella sezione 737 della Dodd-Frank, la misura della posta in gioco. La normativa vuole regolare gli swaps, in sé i più potenzialmente rischiosi tra i derivati, per impedire un loro uso speculativo sui mercati delle materie prime. E la sezione 737 dà quindi alla Cftc il compito di indicare dei position limits, dei limiti oltre i quali scatti l'eccesso speculativo. Ma l'intero mondo finanziario si è mobilitato contro ogni ipotesi restrittiva. E la Camera, a maggioranza repubblicana, minaccia di tagliare il bilancio della Cftc. Il suo direttore, Gary Gensler, un ex Goldman Sachs che sta combattendo seriamente la battaglia per regole più affidabili, ha dovuto pagare di tasca propria un recente viaggio a Bruxelles per incontrare i colleghi europei.


Sono due i passaggi cruciali che permetteranno di dire se la lezione del 2007-2008 è servita a qualcosa: gli assetti bancari e i derivati.
Sul primo, la dimensione delle banche, la partita è persa, negli Usa ma anche in Europa. La Dodd-Frank è disposta di fatto a salvare comunque le maggiori banche, avviate verso un crescente gigantismo, consentito dal banking on the state, come dice Andrew Haldane della Banca d'Inghilterra, dal poter fare affidamento sulla copertura del contribuente.

Quando nel 1999 il Congresso fece saltare del tutto il primo pilastro della finanza roosveltiana, sostituendo la legge Glass-Steagall sulla separazione fra raccolta del risparmio e banca d'investimento con la legge Gramm-Leach-Bliley, le prime cinque banche americane avevano assets per 2.300 miliardi e controllavano il 38% del mercato. Oggi la sola Bank of America, salvata da Washington durante la crisi, ha assets per 2.300 miliardi e le prime cinque controllano il 52% del mercato. «Quale segno più chiaro possiamo trovare del fatto che la disciplina di mercato non esiste più?» si chiede Thomas M. Hoenig, presidente della Federal Reserve di Kansas City, e critico senza sconti della politica finanziaria di Washington.
Sui derivati la partita è ancora aperta. Ma senza illusioni. Non sempre c'è un Roosevelt a portata di mano.
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