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Questo articolo è stato pubblicato il 17 giugno 2011 alle ore 22:17.

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Le loro variazioni, o talvolta la sola prospettiva di cambiamenti, non passano mai inosservate sui mercati finanziari e arrivano perfino a condizionare le politiche di uno Stato. I rating sono di questi tempi sulle prime pagine dei giornali e sulla bocca di tutti, politici ma anche semplici cittadini, che si chiedono cosa siano in realtà questi strumenti che esistono ormai da un secolo e il cui ruolo sembra diventare sempre più importante.

Volendo semplificare, i rating non sono altro che giudizi che agenzie esterne e indipendenti (le più famose sono le statunitensi Moody's, Standard & Poor e l'europea Fitch) esprimono sulle capacità di un emittente di ripagare il debito contratto con il mercato attraverso strumenti diversi: dalle semplici obbligazioni emesse dal Tesoro (se si tratta di Stati), da aziende o banche, fino ai titoli derivati più complessi (Abs, Mbs e simili) che in alcuni casi sono stati all'origine dell'ultima crisi finanziaria.

A questi strumenti, e più in generale all'emittente, si assegna un voto espresso attraverso le ben note lettere dell'alfabeto: dalla tripla A (il massimo) a scendere fino alla D (di default), che macchia in modo indelebile un debitore insolvente. A ciascun livello corrisponde una diversa misura di affidabilità del soggetto emittente e dall'altra parte un differente grado di rischio che l'investitore ha di non ricevere indietro il denaro impiegato alla naturale scadenza.

I rating sono sottoposti a continua revisione in base al cambiamento delle condizioni economiche e finanziarie di un'emittente oppure dello scenario internazionale. Nella loro analisi, le agenzie tengono conto di un'ampia serie di fattori. Al termine del processo di valutazione si può procedere a una revisione del giudizio, ma prima di operare un ribasso (o un rialzo) del voto l'agenzia deve necessariamente compiere un passo intermedio annunciando di aver messo sotto osservazione (con implicazioni positive o negative) le prospettive del rating.

Il cambiamento (o la semplice prospettiva di una variazione, come è avvenuto con il pronunciamento di S&P sull'Italia) si riflette in modo quasi immediato sul mercato. Gli investitori percepiscono come meno affidabili gli emittenti colpiti dai declassamenti, che sono a loro volta costretti ad aumentare i tassi di interesse dei loro bond per attirare nuovi compratori. Ma c'è di più: sotto di alcuni livelli (notch) di rating i titoli non possono più essere inseriti in determinati portafogli di investimento, oppure non vengono più accettati dalla Bce come collaterale per le operazioni di finanziamento al sistema bancario. Per questo la decisione delle tre agenzie può provocare una reazione a catena tale da mettere in ginocchio un'azienda o uno Stato.

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