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Questo articolo è stato pubblicato il 20 giugno 2011 alle ore 15:53.

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Denaro e beni: siamo abituati a dare per scontato il legame tra i due elementi. Quando improvvisamente uno dei due manca, tutto cambia. Non bisogna tornare indietro nel tempo alla preistoria per analizzare casi concreti: la seconda guerra mondiale, come altre guerre, riporta l'umanità indietro nel tempo sotto molti aspetti, non ultimo quello riguardante il denaro. Mio padre era stato rinchiuso nei campi di concentramento per due anni durante la guerra. Non avendo soldi, i prigionieri usavano sigarette. I beni da acquistare o vendere erano il cibo e il vestiario. Le sigarette servivano per questo, oltre che all'uso più ovvio, fumarsele: chi aveva questo vizio non vi rinunciava neppure in condizioni estreme. Le sigarette disponibili erano poche, leggere, facili da conservare e nascondere (gli scambi erano proibiti).

Nel campo di concentramento questo strumento di pagamento era un gradino sopra il baratto. Si coglie così una caratteristica essenziale della moneta: è indispensabile quando lo scambio non è simultaneo e non avviene tra le stesse due persone, compratore e venditore. Con tre sigarette si acquistavano vestiti ceduti a chi ne aveva più bisogno e col ricavato ci si procurava cibo da un altro prigioniero. Talvolta restava qualcosa da parte: così nasce e si alimenta una rete commerciale. E il risparmio: con le sigarette si potevano fare riserve per potenziali consumi futuri, in vista di tempi ancora più bui. Purtroppo i fumatori riducevano il numero delle sigarette e quindi diventavano sempre più rare con il diminuire delle spedizioni da casa, interrotte definitivamente nel 1944. A quel punto comparvero delle "frazioni di moneta": i mozziconi. La riserva di mozziconi veniva alimentata dai militari tedeschi di guardia che, finito di fumare, buttavano via la parte terminale.

Quando da bambino passeggiavo con mio padre, lui fissava sempre la terra davanti ai suoi piedi. Non per paura di incespicare o per non salutare gli altri: era stato condizionato così dalla ricerca spasmodica di mozziconi di sigarette, per anni considerati di grande valore. Il terrore di restare senza tabacco faceva sì che in casa o in viaggio avesse sempre con sé due stecche di "Gauloise". L'esempio dei campi di concentramento mostra un aspetto degli strumenti di pagamento che ha caratterizzato anche l'adozione della moneta nelle culture primitive. Si sceglieva sempre qualcosa che fosse, al contempo, utilizzato e difficile da trovare o estrarre: prima il sale (per il cibo o la sua conservazione) e le ossa (utensili), e poi l'oro. L'oro è raro, facile da trasportare e non cambia nel tempo (a differenza del sale). Si dirà che il sale serve a conservare il cibo mentre l'oro non serve a nulla. Sbagliato: con l'oro, facile da lavorare, puoi costruire monili, e rendere le persone più desiderabili. Ed è pur sempre una riserva di valore in casi disperati, come testimonia nei secoli scorsi la nascita dei "banchi dei pegni", antenati delle banche: qui la gente deposita provvisoriamente beni pregiati, ottenendo in cambio una cifra inferiore al valore del bene stesso, da restituire a una scadenza. Una forma di "prestito" che però non di rado la gente non riusciva a restituire, rinunciando così per sempre al bene dato in pegno.

Se voi coniate l'oro per farne monete potete aggiungere altri metalli di valore inferiore. Entro una certa misura non importa, tanto la moneta vale quello che vi è inciso sopra. Oltre una certa misura le cose cambiano. Nell'Impero Romano la percentuale di oro nelle monete era del 93% ai tempi di Traiano (98 d.C.), del 34% ai tempi di Massimino (235 d.C.), per finire a meno dell'1% ai tempi di Filippo (244 d.C.). Circolavano contemporaneamente monete coniate con quantità diverse di oro: le persone lo sapevano e accantonavano quelle più pregiate, preferendo far circolare le altre. La "moneta cattiva scaccia la buona", recita appunto la legge di Gresham, che la formulò nel 1551. Quando il denaro si basa su una convenzione si stacca dal suo uso quotidiano come strumento di scambio e, per così dire, si "astrae", diventando fine a se stesso. Non è più un mezzo per raggiungere qualcosa d'altro, necessario per il nostro benessere e la nostra crescita culturale e affettiva. Talvolta, e forse è un segno di decadenza, è il cumulo delle monete a renderci felice, non quello che i risparmi possono darci.

Professore straordinario di psicologia economica Università Ca' Foscari - Venezia

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