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Questo articolo è stato pubblicato il 20 giugno 2011 alle ore 16:22.
Tutte le scelte della vita si possono leggere con poche categorie. La prima è l'incertezza: non sappiamo esattamente a che cosa ci porterà una strada dopo che l'abbiamo imboccata. Alcuni percorsi si rivelano più "redditizi", altri meno. E poi si incontrano sempre dei bivi. Cambiare strada è spesso costoso, anche in termini mentali, perché ci costringe a mettere in dubbio le credenze e le certezze del passato. Chi più rischia, più ottiene, ma solo se il rischio è calcolato. Non sempre si tratta di calcoli facili, perché le scelte sono intrise di emozioni. L'uomo teme e cerca di difendersi da quegli eventi che lui classifica come dannosi, paurosi e pericolosi. Non sempre riesce a distinguere bene tra queste categorie. Spostarsi in macchina è più pericoloso che produrre energia con il nucleare, ma è meno pauroso. Il primo è un evento che controlliamo: conosciamo le circostanze in cui avvengono gli incidenti e la loro frequenza. Fumare è più dannoso che viaggiare in aereo: eppure ci sono accaniti fumatori che hanno il terrore di volare.
Cosa succede nel caso degli eventi economici e finanziari? Anche qui vale la distinzione tra i fenomeni di cui conosciamo le serie storiche e quelli che capitano la prima volta, come il fallimento nel settembre 2008 della banca statunitense Lehman Brothers (tecnicamente classificata come una tripla A, il massimo della sicurezza).
Non è impossibile valutare il rischio insito in un evento mai incontrato in precedenza. Una ricerca pubblicata su Science (27.5.2011), a cui ha partecipato anche il nostro laboratorio, mostra che i bambini di un anno d'età sanno che, se fate tremare un tavolo, è più probabile che caschi un cubetto rosso rispetto a uno bianco se sui bordi del tavolo i primi sono più dei secondi. Ciò non toglie che, anche agli adulti, eventi mai successi prima - come un incidente nucleare a seguito di un terremoto - facciano più paura di quelli conosciuti, e di cui è stata valutata la pericolosità sui tempi lunghi.
Compiere una scelta per il futuro ci scuote, ci intimorisce. Comprar casa e traslocare sono il maggiore fattore di rischio di stress, peggio ancora del divorzio. Anche nel caso di decidere una qualsiasi forma di risparmio, il rischio viene misurato nei termini di quanto forti e frequenti sono le oscillazioni, l'andare su e giù del valore, in un dato periodo di tempo.
Quando ero bambino, mio padre ci razionava le noci, di cui tutti e tre noi fratelli eravamo ghiotti. Alla fine di ogni pasto, potevamo prendere due noci con garanzia o quattro noci senza garanzia. La prima opzione contemplava che si potessero sostituire le noci apparentemente buone, ma guaste all'interno. La seconda invece era incerta: ci si tenevano comunque le quattro noci e si sperava in bene. Se le noci guaste erano meno di due su quattro, quest'ultima scelta si rivelava un affare. Se invece erano di più, l'opzione incerta era un bidone. I risultati oscillavano nel tempo. Mio fratello sceglieva sempre e comunque l'opzione sicura: ogni volta si mangiava regolarmente due noci. Io sempre quella incerta. Talvolta mi capitava una sola noce, o persino - massima scalogna - restavo a bocca asciutta. Ma in media, col passare dei mesi, mangiavo molte più noci di mio fratello.
Un giorno chiesi a mio fratello: «Ti sei accorto che alla fine mangio più noci io?». «Certo - mi rispose. Ma vedi: perdere una o due noci, nei rari casi in cui si è sfortunati (rispetto a due sicure), a me fa più male di quanto non mi soddisfi mangiarne una in più, o magari addirittura due, se si sceglie l'opzione incerta e si è fortunati». Mio fratello aveva intuito quello che decenni dopo venne dimostrato rigorosamente dallo psicologo Daniel Kanheman, che per questi studi vinse il premio Nober per l'economia nel 2002. In valore assoluto, una perdita fa più male di quanto non faccia godere una vincita della stessa entità.
Stessa cosa è accaduta ai dipendenti dell'Eni. Nel novembre del 1995 avevano sottoscritto una delle prime tranche di titoli della società, collocata in Borsa, pagandole 5.230 lire, cioè meno di tre euro. Oggi quell'azione vale in termini nominali più o meno sei volte, e ha sempre reso molto bene, all'incirca come un Bot. Se una persona avesse comprato allora una casa per 523 milioni di lire, oggi dovrebbe valere più di un milione e mezzo di euro perché i due affari siano equivalenti. E l'affitto, tra tasse e manutenzione, ha reso meno delle azioni Eni. Eppure, in media, le persone che hanno comprato allora case per cifre equivalenti sono convinte di aver fatto un migliore affare.
Come mai? Per ragioni analoghe a quelle che inducevano mio fratello a preferire l'opzione certa a quella incerta. Delle case non sappiamo il valore giornaliero: lo conosciamo sui tempi lunghi e tendiamo a sopravvalutarlo. Pochi sanno correggere correttamente il costo nominale di quando l'hanno comprata (si diceva nelle pagine precedenti della bottiglia di champagne bevuta al decimo anniversario di matrimonio). E invece, se lavoriamo all'Eni tendiamo a guardare quasi ogni giorno il valore delle nostre azioni. E questo può oscillare molto. Si pensi che, nel 2006, aveva superato i 28 euro, nel 2008 era sotto i 13 euro e oggi ne vale circa 16. Peggio delle montagne russe. Ora la gioia di quando passa da 16 a 28 è inferiore alla stizza di quando scende da 28 a 16: salita e discesa non si compensano emotivamente. Eppure, quando misuriamo il rischio di un investimento in termini di oscillazioni, teniamo presente solo l'ampiezza e la frequenza dell'onda, e non tale asimmetria psicologica tra crescite e cali.
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