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Questo articolo è stato pubblicato il 22 giugno 2011 alle ore 08:10.

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A tre mesi dall'intervento concertato del G-7 per frenare l'ascesa dello yen – che una settimana dopo il terremoto dell'11 marzo aveva raggiunto i massimi di tutti i tempi sul dollaro a quota 76,25 – la valuta giapponese continua a viaggiare intorno alla soglia di 80 sul biglietto verde, considerata da allarme rosso a Tokyo: se la mossa congiunta delle autorità del G-7 sembra riuscita a mettere un limite ai rialzi – soprattutto per lo spauracchio di nuovi interventi –, non ha affatto corrisposto alle speranze nipponiche di una inversione di tendenza che agevoli le esportazioni di un paese piombato in recessione.

Nel quadro della recente ripresa di tono della divisa giapponese, alcuni analisti di banche d'affari non escludono che il cambio possa indirizzarsi ancora di più verso l'alto, testando quota 78 (JPMorgan) o addirittura un eventuale nuovo record a 75 (Commerbank), legando questa prospettiva non tanto a una forza intrinseca dello yen, quando ai fattori di debolezza che gravano sul biglietto verde.

Lo stesso ministro delle Finanze, Yoshihiko Noda – tra l'altro uno dei potenziali candidati alla successione del premier Naoto Kan - ha riesumato ieri il tormentone parolaio di pre-avvertimento ai mercati: le autorità di Tokyo «monitorano con estrema attenzione il mercato valutario» e sarebbero pronte a intraprendere passi decisi contro «eccessivi e disordinati movimenti».

Noda ha indicato che la situazione attuale sembra riflettere una ritardata ripresa dell'economia Usa e la continuazione di una politica monetaria accomodante da parte della Fed.

L'Esecutivo è sotto pressione da parte del mondo industriale perché combatta la forza della valuta che - sommata ai problemi suscitati dal terremoto, compresa la stretta sulla disponibilità di energia – erode la competitività del Paese. Gli ambienti produttivi speravano che i venti contrari su una economia avviata verso il terzo trimestre di segno negativo provocassero effetti sul mercato dei cambi. Ma la situazione non è mutata granché dai giorni dell'ondata di panico speculativo – fondato sull'aspettativa di forti rimpatri di capitali per la ricostruzione e i risarcimenti – che dopo l'11 marzo aveva mandato alle stelle lo yen.

A modificare il trend non sono bastate le minacce delle agenzie di rating di abbassare il rating sovrano di un Paese il cui enorme debito è destinato a crescere, né l'arrivo del deficit commerciale in aprile e maggio, né l'avvitamento della situazione politica verso una prossima crisi di Governo. Parimenti, non è parsa influente la prospettiva di emissioni addizionali di bond per finanziare la ricostruzione, mentre lo scenario secondo cui i tassi nipponici resteranno ai minimi storici certamente più a lungo che altrove ha favorito il ritorno delle scommesse contro lo yen della «signora Watanabe» (ossia degli investitori al dettaglio), ma ha anche suggerito un eventuale ritorno in auge del carry trade.

Ci si mette pure l'Italia: secondo gli analisti di JPMorgan, data l'esposizione degli investitori giapponesi verso il debito italiano – i fondi "toushin" detengono titoli italiani per 690 miliardi di yen contro 469 miliardi di bund – «non sarebbe una sorpresa se i movimenti negli spread italiani finissero per incidere sul cambio euro-yen». Se lo spread tra decennali tedeschi e italiani dovesse salire ancora, insomma, i giapponesi potrebbero vendere. «Crediamo che lo yen si deprezzerà gradualmente, in parallelo alla ripresa dell'economia e della fiducia degli investitori nipponici», avverte però Nomura, in quanto ottimista anche sull'economia Usa.

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