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Questo articolo è stato pubblicato il 26 giugno 2011 alle ore 14:36.

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Ancora non s'è capito se l'Italia e le banche del Paese siano sotto un attacco sistematico della speculazione internazionale. Che alcuni grandi investitori ci abbiano provato è più che evidente, come ha rivelato il crollo in borsa del settore bancario.

Venerdì, un grosso ordine di vendita su un paniere dei principali titoli ha sparso il panico a Piazza Affari e fatto precipitare le quotazioni di UniCredit e Intesa: complici gli scambi piuttosto rarefatti in tarda mattinata e il meccanismo degli stop loss, che innescano in automatico altri ordini di vendita, appena i prezzi scendono sotto una certa soglia. A confezionare quel paniere pare sia stata una grande banca d'affari (Goldman Sachs, secondo indiscrezioni provenienti da New York): a vendere, alcuni suoi clienti, tra i quali primeggiano gli hedge fund.

Non si deve biasimare la speculazione che fa il proprio mestiere mettendosi al ribasso su un titolo. Chi vende allo scoperto ha buoni motivi per farlo e quello che può sembrare un accanimento non ha nulla di ideologico e pregiudiziale. Se Moody's intende declassare il debito del Paese, poi le società partecipate dallo Stato e infine le banche, è piuttosto normale che il mercato approfitti dell'occasione. Dopo Moody's, si muoverà probabilmente anche Standard & Poor's: poiché è vero che l'Italia ha il terzo maggior debito al mondo, cresce meno del resto d'Europa e ha tassi d'interesse decisamente più elevati della Germania (215 punti sul Bund decennale) o della Francia (161 punti).

La questione dei tassi determina la differenza tra il sistema bancario italiano e quello degli altri Paesi: poiché i nostri istituti pagano il denaro sull'interbancario (oppure si approvvigionano emettendo bond) a costi di un punto, un punto e mezzo percentuali più alti dei concorrenti europei. E per quelli minori, come la Popolare di Milano, afflitta da ulteriori problemi, la raccolta è ancora più cara. Va da sè che le banche italiane saranno assai meno competitive nell'impiegare quel denaro e i migliori clienti si rivolgeranno altrove. Ecco perché i titoli degli istituti italiani sono nel mirino della speculazione.

Non valgono nemmeno il loro patrimonio netto, si obietterà. Vero. Intesa capitalizza la metà dei mezzi propri e UniCredit il 40%. In Francia il rapporto è più alto: 0,6 per SocGen, 0,8 Bnp ed è 0,86 per la spagnola Santander. Ma il rapporto tra prezzo e utili (stimati 2011, secondo i dati Reuters) di queste ultime è tra 6,7 e 7. Quello di Intesa è di 9,2 e di 8,8 per UniCredit. Le banche italiane non sarebbero dunque relativamente sottoquotate. Si può obiettare che con questi numeri sarebbe sottovalutato l'intero sistema bancario europeo (l'americana Citi, con un p/e comparabile a Intesa, capitalizza tuttavia il 67% del patrimonio). Ma questa è un'altra storia ed è la conseguenza della crisi sul credito del 2007-08.

Se si vuole, c'è qualcosa di triste in questi attacchi alle banche italiane che, per essere state le prime ad aver fatto (o annunciato) una ricapitalizzazione, hanno dimostrato un comportamento virtuoso. Pensiamo cosa sarebbe successo, se non fosse stato così e se Mario Draghi non le avesse spinte a rafforzare il patrimonio.

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