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Questo articolo è stato pubblicato il 28 giugno 2011 alle ore 06:43.

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SAN MICHELE TIORRE. Dal nostro inviato
Enrico Bondi partecipa oggi per l'ultima volta a un'assemblea degli azionisti della Parmalat. L'amministratore delegato del gruppo su cui è in corso l'Opa della Lactalis si presenta all'appuntamento odierno dimissionario per scadenza del mandato e il suo nome non figura in nessuna delle liste che saranno messe ai voti per il rinnovo del consiglio.

Il suo, tuttavia, non sarà un addio, ma un arrivederci. Bondi manterrà infatti l'incarico di commissario straordinario assegnatogli dal governo il 24 dicembre 2003 e in questa veste, più defilata ma altrettanto autorevole, continuerà ad avere un rapporto con la società anche dopo il passaggio delle consegne ai francesi. Il commissario, inoltre, in quanto attore delle cause civili e parte civile nei processi penali contro le banche, continuerà a seguire i procedimenti in corso a Milano e a Parma e a svolgere la funzione di custode giudiziario degli archivi della Parmalat, che restano a disposizione di guardia di finanza, magistrati e avvocati per l'attività processuale, oltre che dell'azienda stessa per ogni forma di contenzioso.

Questi archivi occupano tre capannoni dell'area industriale di San Michele Tiorre, un comune della zona dei prosciutti, a mezz'ora da Parma, dove il commissario ha trasferito la Parmalat in amministrazione straordinaria. La sede della società è molto spartana, in tono con il suo inquilino. È qui che Bondi verrà a lavorare da domani in poi. La società ha sette dipendenti, commissario incluso, tra i quali la signora Brunella Tosini, la segretaria, originaria di queste parti, che ha seguito Bondi fin dal suo sbarco in Montedison, nel giugno 1993.

L'archivio contiene 350mila faldoni spessi, disposti su alti scaffali metallici. Al loro interno c'è la memoria dell'azienda, società per società, a partire dai primi anni '90: fatture, bolle, lettere, buste paga, documenti, note, appunti, verbali di consigli d'amministrazione, bilanci (rigorosamente falsi, quelli veri furono scoperti dalla magistratura). Ci sono le carte dei processi (altri milioni di pagine), l'archivio personale di Bondi e un sistema per accedere ai documenti delle cause americane. Di tutto. È nascosto qui da qualche parte anche il dossier della falsa contabilità o delle rettifiche-puttanate (in sigla ret-put). L'idea del nome venne a Gianfranco Bocchi, che lavorava alle dipendenze di Fausto Tonna, il numero due della Parmalat, e che al momento del crack caricò sulla propria auto alcuni sacchi zeppi di documenti e fece il giro della provincia per disperderne il contenuto nei cassonetti dell'immondizia.

Superato il portone del capannone dove ha l'ufficio Bondi ci sono il litro e il mezzo litro di latte in Tetrapack, scolpiti in marmo, voluti da Calisto Tanzi all'ingresso dello stabilimento di Collecchio. E in un'altra ala dello stesso edificio sono parcheggiate due Balilla e una Brabham. Le Balilla appartenevano a Tanzi. La Brabham, invece, è quella squalificata al Gran Premio di Svezia del 1978 per via del «ventolone» fuori norma sul retro della vettura. La guidava Niki Lauda. La Parmalat era stata tra le prime aziende a sponsorizzare la formula uno e su un tavolo pieni di orologi Swatch da collezione c'è anche un libro che ne ripercorre la storia. Appoggiata a una parete, una grande cassaforte a combinazione. Bondi l'aveva fatta aprire nella speranza di trovarvi la refurtiva. La delusione fu cocente.

A San Michele in Tiorre hanno anche domicilio 26 delle 70 società che componevano la vecchia Parmalat. Dieci di queste sono ancora sotto procedura, tra cui il Parma Calcio e sei società del turismo. Le altre sedici (Parmalat Spa, Parmalat Finanziaria, Eurolat, Lactis, Geslat, Parmengineering, Contal, Newco, Panna Elena, Centro Latte Centallo, Dairies Holding, Parmalat Capital Netherlands, Parmalat Finance Corporation, Parmalat Netherlands, Olex e Parmalat Soparfi) sono dei gusci vuoti.

Le loro attività e passività sono state infatti conferite nel 2005 all'«assuntore», la struttura costituita per la gestione del concordato tra i creditori, che al momento della quotazione in Borsa, il 1° ottobre di quell'anno, ha cambiato nome in Parmalat. Esse, però, continueranno a esistere finché la Cassazione non si sarà pronunciata sul ricorso di alcuni obbligazionisti contro la sentenza di omologa del concordato. Ricorso già rigettato in primo e in secondo grado dal tribunale di Bologna. Bondi potrà liquidarle e cancellarle dal registro delle imprese solo dopo il definitivo rilascio dell'omologa da parte della Suprema Corte.

Procedura chiusa, invece, per le altre 43 società. Solo una è stata sottratta all'amministrazione straordinaria, l'irlandese Eurofood. Era gestita da Bank of America, che il 27 gennaio 2004 fece istanza al Tribunale di Dublino per liquidarla. A nulla valse l'opposizione del commissario alla Corte di giustizia europea. Quel rospo Bondi non l'ha mai mandato giù.

Al momento del default, le sedici società da cui ha preso vita la nuova Parmalat avevano un passivo accertato di circa 12,5 miliardi. L'indebitamento finanziario dell'intero gruppo ammontava a 14,1 miliardi: oltre 6,5 erano prestiti obbligazionari, 4,2 debiti verso banche, 1,4 private placements, 791 milioni promissory notes, 451 milioni preference share, 376 milioni cartolarizzazioni e 333 milioni derivati. Dalle azioni di risarcimento promosse da Bondi, la Parmalat quotata in Borsa ha incassato oltre 2 miliardi, e i tre quarti della somma sono ancora nelle sue casse a disposizione del nuovo socio di maggioranza. Lactalis potrebbe inoltre avvantaggiarsi dai processi ancora in corso in Italia e negli Usa, in particolare dall'azione penale contro Standard & Poor's, in fase di indagini preliminari a Parma, nonché dall'azione risarcitoria contro la stessa agenzia di rating, in corso a Milano.

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