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Questo articolo è stato pubblicato il 07 luglio 2011 alle ore 07:40.

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Il mondo della banche di Piazza Affari è 'schiacciato'. La prova? Arriva dal Price to book value, cioè il rapporto tra il prezzo dell'azione e il patrimonio netto dell'azienda. Quello del segmento degli istituti di credito quotati a Milano è sotto l'unità: 0,42. Certo, il valore varia da società a società: secondo le stime di mercato, per esempio, Intesa vanta un P/Bv di 0,51; quello di UniCredit è 0,45; per Mps è 0,32 mentre la Popolare di Milano viaggia sullo 0,47. Al di là delle differenze, ciò significa in generale che la capitalizzazione di Borsa delle banche vale meno del solo ammontare dei mezzi propri, senza tener conto delle eventuali prospettive reddituali delle società stesse.

Una situazione dovuta a quali cause? Per gli esperti le motivazioni sono diverse. In primis è il contesto-Italia. Il nervosismo sull'alto debito pubblico, legato alla bassa crescita, si riflette giocoforza sugli istituti finanziari che sono tra i grandi prenditori di titoli di stato. Conta poco o nulla, per il mercato, che le banche italiane (forse anche meglio gestite) non siano esposte sulla Grecia (a differenza delle 'sorellastre' francesi e tedesche).

Per investire sul comparto viene chiesto un premio al maggiore rischio stimato. Un rendimento, il costo dell'equity, che attualmente viaggia attorno all'11%, mentre solamente qualche anno fa era circa il 9 per cento. Questo incremento del costo dell'equity (l'altra faccia della stessa medaglia del P/Bv che scende) risente, ovviamente, anche della debole congiuntura italiana. Bassi livelli di crescita, infatti, significano anche minore redditività delle banche; con il che il mercato investe sì, ma pretende un prezzo più basso (e un rendimento maggiore). Senza contare, poi, il fatto che il comparto vanta un Beta maggiore di uno: cioè la volatilità dei titoli è elevata e ciò crea problemi.

Questo mix di fattori, al di là degli aumenti di capitale realizzati in un difficile contesto di mercato, sono le giustificazioni che gli operatori si danno per un Price to book value così basso. Giusto, o sbagliato, che sia.

Una motivazione che deve far ragionare l'investitore. Il pensiero, che spesso rimbalza tra le sale operative, è: i titoli sono così a sconto da rappresentare un'occasione d'acquisto. Un'ottica sensata ma, rebus sic stantibus, più speculativa che strategica. Una visione che si adatta al trader professionista, o all'istituzionale, in grado di interpretare i fondamentali della società, oltre al timing giusto dell'operatività.

Il signor Rossi, al contrario, deve fare attenzione. Può anche capitare di finire nella cosidetta 'value trap' (la trappola del valore). Cioè, se il mercato continua a considerare che i problemi strutturali non trovano soluzione, le valutazioni di questi titoli possono rimanere 'schiacciate'. Seppure, l'alto debito pubblico e la bassa crescita non siano imputabili alle società stesse.

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