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Questo articolo è stato pubblicato il 09 luglio 2011 alle ore 09:58.

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Parmalat va ai francesi. Lactalis conquista l'83%Parmalat va ai francesi. Lactalis conquista l'83%

di Simone Filippetti
Lactalis conquista tutta Parmalat. Dopo quattro mesi di scontro, che è arrivato a investire anche i Governi di Francia e Italia, finisce la battaglia sul latte. Con un vincitore assoluto: il colosso francese. Partito da lontano (i primi acquisti risalgono addirittura all'autunno di tre anni fa), ieri con al chiusura dell'Opa, Lactalis si ritrova proprietaria dell'83% di Parmalat.

Per i più nazionalisti, da ieri l'Italia ha perso un pezzo importante dell'industria alimentare, sopravvissuto al più grande crack della storia e riportato in vita da Enrico Bondi. Per i sostenitori del libero mercato cambia solo la testa, perché stabilimenti, uffici e allevamenti rimangono sempre in Italia. Con l'affondo sull'ex impero di Calisto Tanzi, public company con un maxi-tesoretto in cassa (la classica preda), la famiglia Besnier diventa il leader mondiale nei latticini con un giro d'affari di 14,7 miliardi di euro (realizzato in 35 Paesi del mondo).

L'aggregato Lactalis-Parmalat, un gruppo ancora a gestione familiare, supera pure la mega-multinazionale Nestlè (ferma a 10 miliardi); ma soprattutto la potente quanto impenetrabile Lactalis (nessun bilancio pubblicato da dieci anni, una segretezza che rasenta l'ossessività) batte la connazionale Danone, a quota 9,7 miliardi di fatturato.

L'occasione è tale che pure Monsieur Besnier, l'erede della famiglia fondatrice, ha rotto l'abituale consegna del silenzio: «Il gruppo Lactalis lavorerà, insieme al management di Parmalat, all'ulteriore sviluppo di Parmalat, nel rispetto della sua struttura e delle relazioni con gli allevatori di tutte le regioni italiane» è il messaggio volutamente tranquilizzante verso chi teme la calata dell'invasore d'Oltralpe.

Nonostante una partenza al ralenty, alla fine l'Opa è andata molto meglio delle attese (adesioni al 54%). Probabilmente a casa di Lactalis accanto all'esultanza c'è anche qualche mugugno perché così l'Opa viene a costare 2,4 miliardi (che si aggiungono ai 1,3 miliardi già spesi per il 29% in possesso). Con già il 29% in mano, e la certezza di comandare in assemblea senza problemi (come s'è visto la settimana scorsa in occasione della nomina del cda), la soglia minima del 55% sarebbe bastata ampiamente per avere il controllo anche in un'eventuale assemblea straordinaria.

Quel 30% in più raccolto è solo un onere finanziario che non porta benefici ulteriori in termini di governance, ma maggiori debiti. L'indebitamento complessivo di Lactalis post-Opa sale a 5,4 miliardi: la leva è di poco sotto le quattro volte (un multiplo di 3,8 sul Mol pro-forma aggregato delle due aziende). Ne esce una struttura finanziaria tirata, ma in fondo l'Opa, ossia una soluzione di mercato, è stato il prezzo che i francesi hanno dovuto pagare per vincere lo sbarramento del Governo.

Alla fine la maggior parte degli azionisti si è convinta che era meglio aderire. È caduto nel vuoto il consiglio di Bondi e della Parmalat, supportato da un parere di Goldman Sachs (costata 4,6 milioni di euro secondo quanto sostenuto in assemblea dall'associazione Azione Parmalat) non aderire all'Opa. La prospettiva, inoltre, che da oggi il titolo cadrà (un assaggio si è già avuto in questi giorni e ieri il titolo ha perso il 2,26%), se ha ragione chi sostiene che i warrant (a 1,3 euro) stanno già scontando il prezzo futuro delle azioni, ha evidentemente convinto anche gli ultimi indecisi ad aderire. In ogni caso, chi ha aderito ieri potrà facilmente ricostituire la propria posizione ricomprando sul mercato, a prezzi più bassi.

Messa la bandiera sulla vetta di Parmalat, la scadenza più immediata è la nomina di un amministratore delegato: da dieci giorni Parmalat è priva di un capo-azienda, dopo l'addio di Bondi. Un consiglio di amministrazione è stato convocato dal neo-presidente Franco Tatò per martedi prossimo e da lì arriverà il nome del futuro ceo del nuovo gruppo. Top-secret, per ora, l'identità, ma di sicuro sarà una figura chiamata dall'esterno: così infatti vanno lette le dimissioni a sorpresa del consigliere Olivier Savary. Accantonato il nome di Antonio Sala, accreditato come il ceo in pectore per mesi, tra i consiglieri attuali (la cui lista, immodificabile, era stata depositata a marzo, prima dell'Opa) non c'è una figura adatta. L'uscita del manager francese serve dunque a liberare un posto in cda e cooptare l'ad.

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