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Questo articolo è stato pubblicato il 09 luglio 2011 alle ore 09:38.

Saranno probabilmente "promosse" negli stress test. Sono sane, come ribadisce Mario Draghi. Non si sono mai lasciate sedurre dalla finanza più spregiudicata. Non hanno avuto bisogno di veri aiuti di Stato. Eppure le banche italiane sono prese a schiaffi in Borsa tutti i giorni, più delle loro concorrenti europee: solo nell'ultima settimana UniCredit ha perso quasi il 20%, Intesa Sanpaolo il 13,5%, Montepaschi il 7%, Banco Popolare il 12%, Ubi Banca il 10%.

Si può puntare il dito contro gli speculatori, che amplificano le vendite. Ma il vero problema delle banche italiane è un altro: sono italiane. Purtroppo guardare la loro solidità come istituti non è più sufficiente: è il rischio-Stato il vero problema. È questo che rischia di erodere come un tarlo le loro fondamenta.

Ora che i BTp sono costretti a offrire 2,44 punti percentuali in più dei Bund tedeschi, l'italianità sta infatti diventando un peso. Ogni 0,10 punti percentuali di aumento strutturale dello spread tra Italia e Germania sui mercati dei titoli di Stato - stimano gli analisti -, ha l'effetto di «bruciare» il 2-3% degli utili delle banche grandi e il 5% dei profitti di quelle medio-piccole. Se si pensa che in una settimana lo spread tra BTp e Bund è salito di circa 60 punti base, si capisce qual è il timore degli investitori: questo caro-BTp, se fosse strutturale e non temporaneo, si "mangerebbe" in un sol boccone il 30% degli utili delle banche piccole e il 12-18% dei profitti di quelle grosse. Gli investitori fanno due più due e vendono. Poi la speculazione esaspera il crollo.

La catena di Sant'Antonio
Cerchiamo di capire il problema. Il "contagio" dai BTp arriva attraverso vari canali. Il principale riguarda il cosiddetto costo della raccolta: cioè il costo (in termini di tasso d'interesse) che le banche devono sostenere per trovare finanziamenti. Se lo spread tra BTp e Bund sale, le banche italiane sono costrette di riflesso a pagare tassi d'interesse più alti agli investitori. Già questo è accaduto. Calcola McKinsey che nel 2007 mediamente gli istituti di credito pagavano sui prestiti obbligazionari 17 punti base sopra l'Euribor, mentre ora sono costretti a sopportare uno spread di 118 punti base. Dieci volte di più.

Questo pesa sulle banche, perché nel 2011 e nel 2012 devono rifinanziare i debiti in scadenza. UniCredit a maggio dato più recente ‐ aveva soddisfatto solo il 58% delle sue esigenze di finanziamento, pari a 32 miliardi per l'intero 2011. E nel 2012 a Piazza Cordusio scadranno obbligazioni per 37 miliardi. Intesa ha coperto tutte le esigenze del 2011, ma nel 2012 dovrà rastrellare sui mercati 22 miliardi. Anche Montepaschi è a posto per quest'anno: il problema è che i 5,1 miliardi di bond istituzionali in scadenza nel 2012 sono quasi il doppio di quelli del 2011. Questi numeri, di per sé, non destano preoccupazioni. Ma se i tassi d'interesse restano elevati, il costo per le banche diventa oneroso. Conseguenza: i profitti vengono erosi e gli istituti italiani si trovano spiazzati rispetto ai concorrenti esteri.

Le altre vulnerabilità
Il secondo canale di trasmissione è dato dal fatto che le banche italiane hanno in bilancio - stima Rbs - 200 miliardi di euro di titoli di Stato italiani. Le vendite sui BTp, dunque, provocano altre potenziali perdite in bilancio. C'è poi un'altro elemento di debolezza: l'aumento dei crediti deteriorati. Calcola l'Abi che nel 2007 l'intero sistema creditizio del Belpaese aveva sulle spalle 48 miliardi di euro di sofferenze lorde, mentre ora questa zavorra è di 95 miliardi: l'aumento, in pochi anni, è stato del 97,7%. Questo più che erodere i profitti assorbe capitale e, di conseguenza, riduce la loro possibilità di finanziare famiglie e imprese.

Le potenziali conseguenze sono tante. Innanzitutto gli utili futuri delle banche rischiano di sciogliersi come neve al sole. Di conseguenza nei prossimi anni per gli azionisti potrebbero non esserci dividendi: cosa che a nessun investitore piace. Non solo. L'erosione dei profitti potrebbe lasciare prima o poi gli istituti di credito a corto di capitale. E anche questa eventualità non piace a chi investe in azioni bancarie. Alla fine il conto rischiano di pagarlo famiglie e imprese, che dovranno probabilmente sopportare tassi d'interesse più alti sui finanziamenti e sui mutui. Questo potrebbe avere un effetto negativo sull'economia italiana e - come un boomerang - sullo spread tra BTp e Bund. La catena di Sant'Antonio si auto-alimenta.

m.longo@ilsole24ore.com

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