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Questo articolo è stato pubblicato il 10 luglio 2011 alle ore 15:40.

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MILANO - L'Italia è sotto attacco e subito il pensiero corre a loro, gli hedge fund, i super fondi alternativi che usano tecniche di gestione non adottabili dai tradizionali fondi comuni.

Secondo i rumors di Piazza Affari, confermati oggi anche dal Financial Times, diversi, tra i grandi colossi americani del settore, stanno vendendo importanti quote di titoli governativi del nostro paese per comprare credit default swap, ovvero le speciali polizze assicurative che proteggono dal rischio di default. Si tratta solo di voci, ovviamente, ma pur tra tanti dubbi, una certezza c'è: la manovra al ribasso funziona. E pure bene, a vedere i danni provocati venerdì scorso. E questo è anche frutto del fatto che il mercato dei titoli di stato italiani è fortemente liquido, tanto che anche prima della crisi finanziaria l'attività di vendite al ribasso erano una strategia frequentemente attuata.

Ma chi comanda oggi il mercato degli hedge fund? E qual è lo stato di salute del settore? Anzitutto va detto che i fondi speculativi hanno sofferto duramente la crisi finanziaria. Dal crack Lehman in poi centinaia di strumenti simili hanno chiuso i battenti, in parte per le devastanti perdite sui listini, in parte per l'emorragia inarrestabile dei feeder fund. Solo pochi operatori, dunque, sono sopravvissuti. Tra questi, chi può dire di avercela fatta, e pure alla grande, è Raymond Dalio, money manager tra i più ricchi al mondo (secondo Fortune il suo reddito ammonta a 2,5 miliardi di dollari l'anno) e fondatore di Bridgewater Associates, il più grande hedge fund al mondo, che oggi può contare su una massa di attivi pari a 92 miliardi di dollari. L'impresa non è stata solo quella di non perdere soldi con la crisi, ma addirittura di averci guadagnato, visto che prima di allora il fondo deteneva masse per "soli" 52 miliardi. Reputato un autentico deus ex machina dei mercati mondiali, Dalio ha appena lanciato uno dei più grandi singoli fondi-veicolo della storia (il cui taglio è di 10 miliardi di dollari) e punta già a superare i 100 miliardi di dollari di asset.

Accanto a lui, tra i protagonisti del mercato ci sono Thomas Steyer (autentico pioniere della strategia "absolute return", che gli ha permesso di gestire un patrimonio di 21 miliardi di dollari) e Lawrence Robbins (a capo di Glenview Capital Management, che gestisce un patrimonio da 5,1 miliardi di dollari). Senza dimenticare Kenneth Griffin, fund manager di Citadel, il fondo speculativo che, con i suoi 11 miliardi di dollari sotto gestione, ogni giorno muove volumi azionari pari al 3% dell'attività media di trading a Londra, New York e Tokyo. Il settore sta insomma rialzando la testa. Dopo il collasso legato al crack Lehman, i gestori stanno infatti riconquistando rapidamente la fiducia degli investitori. La massa totale dei patrimoni gestita è vicina ai 2 mila miliardi, ai massimi da inizio 2008. E non c'è da stupirsene. In una fase contrassegnata da tassi di interesse bassi e da mercati azionari molto volatili, i fondi speculativi appaiono lo sbocco d'investimento ideale, in virtù della loro capacità di generare rendimento decorrelato. Non è un caso che i fondi sovrani, gli endowment delle grandi università americane e i grandi investitori istituzionali, come i fondi pensione, si stiano rivolgendo a loro per dare una marcia in più al proprio portafoglio. Speculazione o meno, l'importante, in fondo, è guadagnare.

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