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Questo articolo è stato pubblicato il 14 luglio 2011 alle ore 08:38.

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Oro tra difesa e rischio bolla (Ansa)Oro tra difesa e rischio bolla (Ansa)

Bolla speculativa o meno, per l'oro non sembra esserci crisi. Dopo qualche settimana di appannamento, negli ultimi giorni il lingotto ha ripreso vigore fino a riaggiornare ieri il suo record, a 1.579 dollari l'oncia a Londra. Merito di mercati azionari e obbligazionari a dir poco volatili, e di un scenario macroeconomico sempre più problematico, segnato dalla diffusione della crisi in Eurozona e dall'ipotesi di una nuova iniezione monetaria negli Stati Uniti. La quotazioni registrano un nuovo massimo anche in euro (oltre 1.110 euro/oz., in crescita del 10% per cento nell'ultima settimana) e in sterline (oltre 980 pound per oncia). È una corsa che prosegue insomma nonostante il recente rafforzamento del dollaro (valuta in cui sono quotate i listini auriferi), fatto che in teoria rende il lingotto meno appetibile.

La forza del rally
Ma quanto durerà il rally aurifero? La stragrande maggioranza degli analisti è convinta che la cavalcata al rialzo non sia ancora giunta al termine. Secondo Bank of America-Merrill Lynch «la pressione spingerà in alto i prezzi per i prossimi dieci anni». Barclays stima una forchetta di 1.600-1.650 dollari l'oncia per il secondo semestre dall'anno. Ma non manca anche chi si sbizzarrisce con previsioni a 3mila o persino 5mila dollari l'oncia nei prossimi due o tre anni.

Agli occhi degli osservatori sembra interessare poco il fatto che i prezzi, rispetto ai minimi relativi di fine 2008, siano più che raddoppiati, con un tasso di crescita che legittimamente insinua il dubbio di un rischio «bolla speculativa». E che oggi spinge non pochi investitori a liquidare il metallo per incassare la plusvalenza. D'altra parte, obiettano i rialzisti, siamo ben lontani dall'impennata del 1979, quando i prezzi moltiplicarono per quattro in un solo anno. Secondo la tesi bullish, inoltre, a supporto dei prezzi non mancano fondamentali come l'ulteriore rafforzamento della domanda. Molte banche centrali, ad esempio, stanno incrementando gli acquisti per consolidare le riserve aurifere. E nel frattempo gli acquisti esplodono nei Paesi emergenti, soprattutto in Cina e India, le cui nascenti medie borghesie identificano nell'oro un insostituibile mezzo di legittimazione sociale, oltre che di investimento. «Le notizie di dati congiunturali e le incertezze sui debiti sovrani fanno pensare che la stretta monetaria è destinata ad essere posticipata: le prospettive per l'oro sono positive», spiega Claudio Colacurcio, senior economist di Prometeia.

Gli strumenti
Pur tra tanta euforia, vale la pena ragionare sui pro e i contro di un asset simile. Ricordando anzitutto che l'oro è infruttifero perché, al contrario di azioni e bond, non stacca cedole. D'altra parte esso conserva un'ottima capacità di apprezzarsi: tra il 1991 e il 2010 il ritorno annualizzato è stato pari al 6,6% contro il 3,6% del S&P Gs Commodity Index. Abbastanza per confermare la sua forza di bene rifugio. Se volete investirvi sopra, le possibilità sono diverse. Si può scegliere di puntare sull'oro fisico, sugli strumenti quotati oppure sulle aziende aurifere. Ogni asset ovviamente ha vantaggi e svantaggi (si veda grafica a lato). Tuttavia vanno ricordate alcune semplici regole. L'acquisto diretto, come lingotti o monete d'oro, è consigliabile per la semplicità operativa. Sterline, Krugerrand e Marenghi (ma anche i lingotti) non hanno costi di manifattura e sono esenti da Iva.

Tuttavia può capitare che lo spread denaro/lettera - che di norma non dovrebbe superare il 5% del valore reale - possa anche superare il 15-20 per cento. In alternativa, se si vuole scommettere sul metallo, si può optare per gli Etp che replicano - più o meno fedelmente - la quotazione aurifera. In questo modo si supera il problema dei costi occulti, come le spese di stoccaggio o di assicurazione. «Meno interessante - spiega Francesco Caricati, consulente indipendente di Consultique - l'investimento diretto in titoli minerari, il cui andamento è legato a fattori come l'indebitamento o il singolo Paese di riferimento». Attenzione però: qualsiasi sia la vostra scelta, gli esperti consigliano di dedicare alla commodity una quota limitata del proprio portafoglio, attorno al 5-10%, a seconda della maggior avversione al rischio.

luca.davi@ilsole24ore.com

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