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Questo articolo è stato pubblicato il 19 luglio 2011 alle ore 08:05.

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Le banche italiane ostaggio dei timori sul debito sovranoLe banche italiane ostaggio dei timori sul debito sovrano

di Alessandro Merli
La promozione delle prime cinque banche italiane nello stress test europeo pubblicato venerdì scorso ha confermato le valutazioni delle più recenti analisi internazionali sullo stato di salute del sistema creditizio del nostro Paese. Ma non è bastata ieri ad arginare le perdite sofferte in Borsa dai titoli bancari italiani, perdite che molti osservatori di mercato attribuiscono allo stretto legame con la crisi del debito sovrano nell'eurozona e in particolare ai dubbi dei mercati sul debito pubblico italiano.

«In questo momento – ha detto in teleconferenza con un gruppo di investitori un analista bancario della City, che ha chiesto di non esser citato – tutta l'attenzione è concentrata sulla questione del debito sovrano. È questa a provocare i ribassi delle banche, indipendentemente dalla loro solidità». A riprova di quest'affermazione, l'analista cita il caso di Intesa Sanpaolo, che, delle grandi banche europee comprese nel campione di 90 esaminato dalla European Banking Authority, è quella che esce meglio dallo stress test, alle spalle solo della spagnola Bbva. Il capitale core tier 1 di Intesa a fine 2012, nel caso dovesse avverarsi lo scenario avverso delineato dai test, salirebbe all'8,9% contro il 7,9 della fine 2010. Uno studio degli analisti bancari del Crédit Suisse rileva che, anche sulla base di parametri più realistici di quelli applicati dalla Eba, che nella City sono stati giudiciati non sufficientemente severi, Intesa Sanpaolo figura in testa alla classifica delle banche più solide insieme a Bbva e Hsbc. Ciò nonostante, Intesa Sanpaolo ha sofferto in Borsa più di altre nella seduta di ieri. Altre due delle banche italiane, Monte Paschi e Ubi, registreranno, secondo i risultati del test, un miglioramento nel capitale common equity.

A favore delle nostre banche, come osserva la think tank bolognese Prometeia nel suo rapporto di luglio, gioca l'azione di rafforzamento patrimoniale dovuta sia alle richieste del mercato di anticipare da subito l'adeguamento ai nuovi requisiti di Basilea 3, sia la pressione di Banca d'Italia. Prometeia ricorda che con gli aumenti di capitale per 12 miliardi di euro annunciati (e già realizzati per due terzi), il sistema bancario italiano ha ridotto il gap necessario per conseguire l'obiettivo del 7% di common equity fissato da Basilea. Le banche italiane hanno poi aumentato il credito all'economia più delle loro pari del resto dell'eurozona.

Quasi alla vigilia della pubblicazione dello stress test, un giudizio complessivamente positivo sulle banche italiane è venuto anche dal rapporto dello staff del Fondo monetario. Il sistema, dicono gli economisti del Fondo, si è dimostrato resistente alla recente crisi, una circostanza sottolineata più volte anche dal governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi. Il documento dell'Fmi nota che in seguito alla crisi globale degli ultimi tre anni, le sofferenze sono raddoppiate, ma meno che nella recessione del 1992-93, che fu meno grave. E questo, afferma il rapporto, grazie ai tassi d'interesse più bassi, ma anche ai progressi compiuti dagli istituti italiani nella gestione del rischio di credito.

L'Fmi nota peraltro, così come Prometeia, che il sietema resta relativamente sottocapitalizzato rispetto ai principali concorrenti europei e che la redditività delle 5 grandi banche italiane rimane bassa al confronto con la media europea. Il Fondo sottolinea tuttavia anche il fatto che il leverage del sistema bancario italiano sia inferiore a quello delle banche di altri Paesi europei, compresi Francia e Germania. E che l'esposizione diretta delle banche del nostro Paese alle tre economie dell'eurozona che hanno dovuto ricorrere ai salvataggio internazionali (Grecia, Irlanda e Portogallo) è limitata, pari allo 0,7% dell'attivo totale.

Sotto i riflettori dei mercati, però, ieri è finito il debito dell'Italia e su questo, inevitabilmente, l'esposizione delle nostre banche è pesante. «Il contagio si è allargato all'Italia – ha scritto Francesco Garzarelli, di Goldman Sachs, in una nota per gli investitori – con movimenti dei prezzi dei titoli di Stato che appaiono sempre più scollegati dai fondamentali macroeconomici». Garzarelli ritiene che a questo punto la valutazione degli asset bancari italiani, e spagnoli, sia attraente per gli investitori, parere condiviso da altri osservatori di mercato. Il nesso fra debito sovrano e banche però è al centro delle preoccupazioni.

Un'analisi della Banca centrale europea rileva che in Italia, come nei Paesi delle perfieria dell'area euro, e a differenza di Germania e Francia, ma anche di Stati Uniti e Gran Bretagna, ci sia una correlazione stretta fra il costo di assicurarsi contro il default delle banche attraverso i Cds e quello del debito sovrano. Il Fondo monetario nota che la divaricazione degli spread sui Cds bancari italiani è iniziata con lo scoppio della crisi greca nella primavera dello scorso anno ed è stata determinata in larga misura dal rischio Italia. C'è poi un altro elemento evidenziato da Prometeia ed è che le tensioni sul debito sovrano aumentano i costi della raccolta a medio-lungo termine delle banche.

L'altra incognita è data dalle difficoltà della crescita economica, che possono ripercuotersi sul tentativo di recupero di redditività delle banche. È opinione diffusa nelle analisi internazionali che la sfida per un sistema giudicato tutto sommato solido si giochi soprattutto fuori casa: che passi cioè dalla soluzione a livello europeo della crisi del debito sovrano.

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