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Questo articolo è stato pubblicato il 26 luglio 2011 alle ore 07:30.

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Con quanta apprensione gli investitori stiano vivendo il "drammatico dibattito" sulle sorti del debito pubblico americano lo dimostrano le reazioni dei mercati finanziari statunitensi: il rendimento dei Treasury decennali è salito di 3 centesimi, il costo dei credit default swap è aumentato di 2 centesimi e Wall Street ha chiuso con una piccola perdita.

Lo "spettro" che il tetto del debito non venga elevato s'agita solo nei commenti di alcuni osservatori; ma è questione irrilevante per gli investitori, convinti che un compromesso verrà sicuramente trovato in settimana. L'unico fantasma che continua ad agitarsi è quello dei debiti sovrani europei e, dopo gli accordi di Bruxelles di giovedì scorso, è tornato a fare ancora più paura.

Non è facile capirne i motivi per chi, come la gran parte degli analisti europei, aveva giudicato positivo il piano d'intervento sulla Grecia e sui Paesi più a rischio. Ma per gli investitori anglosassoni quel piano è pieno di incognite e troppo modesto per risolvere una situazione che si è ulteriormente aggravata. Può darsi che sbaglino questi investitori, poco avvezzi all'esitante procedere dei politici europei. Può darsi che ragionino in base a pregiudizi e a scarsa conoscenza dei fatti: come quel gestore americano che, ieri, aveva chiesto al suo broker italiano se i risparmiatori si stessero precipitando agli sportelli delle banche per ritirare i soldi. Si sarebbe tentati di trattare con un po' d'ironia questi personaggi, abituati a un sistema finanziario che mamma Fed sta proteggendo senza esitazioni, con elargizioni di migliaia di miliardi da quasi tre anni: se non fosse che la gran parte di questi investitori sono gestori dei grandi fondi che in portafoglio hanno bond europei (e soprattutto Btp) e i titoli delle maggiori banche del Vecchio continente.

Ieri sono tornati a vendere: non tanto sui Btp, il cui mercato è quasi ingessato con scambi esigui, se li si paragona a quelli di Piazza Affari, ma sulle azioni di quasi tutte le banche e assicurazioni europee. Sono state queste vendite in Borsa ad aver dettato ieri il ritmo dei mercati. Il calo dei Btp e il conseguente volo dei rendimenti fino al 5,68% è avvenuto in conseguenza ai crolli dei titoli bancari. Che vi fosse un disegno è cosa quasi certa, poiché i ribassi sono stati in buona parte generati dalla vendita di basket preconfezionati, panieri di titoli finanziari europei (britannici compresi) e addirittura panieri sulle banche dei soli Paesi periferici. Ecco spiegata la maggior pressione sul comparto di Piazza Affari (-7%, contro il -4,3 delle banche zona euro). Ma solo in parte: perché alle vendite dei grandi investitori internazionali (e un poco anche della speculazione), si sono aggiunti i ribassi generati dagli stessi investitori domestici.

Chi sono? Molti tra quelli che hanno larghe e stabili quote nelle banche (privati o fondazioni) e molti tra quelli che gestiscono holding di partecipazioni, specie se costruite a debito. Non si tratta in questi casi di vendite dirette ma di vendite che sono state generate dall'acquisto di collar e altri sistemi di protezione che le grandi banche d'affari costruiscono appositamente per limitare le perdite di un portafoglio azionario. Chi si protegge paga delle commissioni; ma chi costruisce la protezione finisce per vendere allo scoperto forti quantità di titoli, specie se il prezzo scende sotto una determinata soglia. Infine vi sono investitori che liquidano i titoli bancari (per lo più italiani) in base a ragionamenti fondamentali: se sale lo spread, aumenta il costo della raccolta per gli istituti di credito e cala la redditività. Il meccanismo può diventare perverso, perché si autoalimenta: volano i rendimenti dei Btp, cadono le banche e crescono ancor più i rendimenti.

Difficile dire quando potrà fermarsi un tale meccanismo. Alcuni grandi investitori europei - sentiti ieri dal Sole 24Ore - sostengono che i prezzi di Piazza Affari (specie dei titoli finanziari) sono bassissimi e scontano un fallimento dell'Italia cui non credono affatto. Però non comperano. Aspettano. Tuttavia, il Credit Suisse ha dichiarato venerdì sera il suo «buy Italy» (sebbene non necessariamente per i titoli bancari): perché non crede che il nostro Paese possa fallire, perché è quello messo di gran lunga meglio tra i "periferici", perché l'euro si salverà (al 90%). I cugini dell'Ubs hanno annunciato d'aver in portafoglio il 2,3% della Popolare Milano, e se hanno deciso di diventare soci dei dipendenti della Banca meneghina, significa che si possono acquistare i titoli di tutte le altre banche.

Difatti, anche Norges Bank ha rastrellato il 2,1% di Ubi.
Può darsi che già quest'oggi s'attenuino le tensioni, specie sui titoli di Stato. Al riguardo, fa notare uno dei maggiori market maker italiani, non ci sono state ieri vendite sui Btp e al mercato grigio si potevano scambiare i Bot a 6 mesi che vanno in asta quest'oggi. Nessuno li ha toccati, ha raccontato, e i rendimenti (attorno al 2,35%) sono semmai calati rispetto a venerdì pomeriggio.

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