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Questo articolo è stato pubblicato il 30 luglio 2011 alle ore 08:48.

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C'è chi è pessimista sul futuro e taglia le stime. Così, per esempio: Peugeot-Citroen (-7,6% nel giorno della trimestrale); oppure il colosso francese dell'acqua Veolia (-8,6%); o ancora Basf, il big mondiale della chimica (-4,2%). C'è poi chi, invece, non raggiunge le stime degli analisti (giuste o sbagliate che siano). E, anche qui, il mercato lo punisce: dalla metallurgica Vallourec (-16,8%) al produttore di elettrodomestici Electrolux (-16%) fino alla multinazionale delle tlc Alcatel-Lucent (-15,3%).

Una sequenza di dati trimestrali, o previsioni sugli stessi, pubblicati da diverse multinazionali europee che non incoraggiano l'ottimismo. E che, a ben vedere, ha colto di sorpresa molti analisti. «Siamo di fronte – dice Patrice Perois, trader di Kepler Capital Markets – a una serie di profit warning assolutamente inaspettati», anche perché arrivano da gruppi che il mercato, in linea di massima «considera solidi».

«La fotografia – fa da eco Alessandro Capeccia, gestore di Azimut – è ancora parziale. Tuttavia, non può negarsi che certi conti trimestrali sono peggiori di quello che le stime indicavano». Già, le stime. «Forse – aggiunge Mario Spreafico, direttore investimenti di Schroeder Italia – i calcoli degli analisti erano tropo ottimisti». «Tanto che – afferma Perois – non è da escludere una sopravvalutazione delle previsioni anche del 15 per cento». Ciò detto, però, una tendenza sembra concretizzarsi: secondo Thomson Reuters, delle 143 grandi aziende di Wall Street, che fin qui hanno pubblicato i dati, il 75% ha battuto il consensus di mercato sugli utili. In Europa, al contrario, la percentuale è poco sopra il 50 per cento. Cioè, nel Vecchio continente i margini sarebbero meno brillanti.

«Evidentemente – dice Capeccia –, pesa un mix di fattori. In primis, il calo della domanda aggregata: le aziende industriali europee potrebbero essere meno esposte sui mercati emergenti dove le economie corrono. E, poi c'è il fattore materie prime». Vale a dire? «Non può dimenticarsi che le commodity sono denominate in dollari; giocoforza, a fronte della debolezza della divisa americana, l'effetto sui costi di produzione è maggiore per le aziende del Vecchio continente». E, nonostante i gruppi europei abbiano accelerato sulle efficienze di gestione, «queste - sottolinea Spreafico - possono non aver completamente controbilanciato un rialzo dell'euro sul dollaro, nella prima metà del 2011, del 6%».

Fin qui alcune possibili cause dei profit warning: quali, però, gli effetti sulle Borse? L'attenzione dei media, ma anche degli esperti, attualmente è quasi tutta per il rischio del debito sovrano, sia dell'eurozona che dell'America. Un posizione ovvia, ma che rischia di far perdere di vista i fondamentali delle aziende. Troppo spesso, il Fly to quality nel reddito fisso è replicato in "automatico" sull'azionario. «Con la conseguenza di non fare selezione tra i titoli e di avere un'allocazione inefficiente del capitale». Invece, come si è visto di recente sul Dax (-3,5% in luglio), gli indici sono "buttati" giù dai cattivi risultati aziendali. Un'altra possibile spada di Damocle sulle Borse.

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