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Questo articolo è stato pubblicato il 06 agosto 2011 alle ore 11:10.

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Per un candidato partito quattro anni fa dalla sinistra dei democratici con l'obiettivo di «scacciare i mercanti dal tempio» Barack Obama ha avuto con Wall Street, con le grandi banche cioè e l'intero gigantesco sistema dello shadow banking, rapporti piuttosto buoni. I dati sui finanziamenti alla campagna per la sua rielezione forniti in questi giorni dal Center for Responsive Politics lo confermano in pieno. Nel 2008 Obama ebbe forti e preventivi aiuti dalla finanza, prima ancora di dimostrarsi più forte di Hillary Clinton, ma soprattutto dagli hedge funds, come ha documentato il politologo Tom Ferguson dell'università del Massachusetts. Questa volta sono scesi in campo per Obama alcune figure a tutto tondo, come Jon S. Corzine ex amministratore delegato di Goldman Sachs.

Nessun candidato presidenziale può pensare di sopportare i costi della campagna senza il contributo del settore finanziario. Ma si tratta di un terreno minato, sia per Obama sia per il suo ancora ignoto sfidante repubblicano. È un rapporto incestuoso. Se le banche finanziano ampiamente la politica, dai candidati presidenziali ad almeno mezzo Congresso, la politica da quasi tre anni tiene in piedi le banche.

Finanza e politica vivono un rapporto più stretto che in passato, e più delicato. La crisi ha portato nel corso del secondo trimestre 2011 a una svolta storica, documentata dal Flow of Funds della Federal Reserve, il ritratto trimestrale dei flussi del sistema America. Mentre nel 2006 ogni due dollari di credito al consumo concesso dal sistema finanziario privato, mutui compresi, c'era un solo dollaro concesso dal credito pubblico o garantito da Washington, la contrazione di 1.900 miliardi di credito privato e il parallelo e analogo aumento di quello pubblico o garantito hanno rovesciato il sistema. C'è più Stato e meno mercato, ha scritto Investor's business daily, che ha fatto il computo. «I mercati dei capitali sono ormai legati negli Stati Uniti alle garanzie governative», ha detto Viral Acharya, che con alcuni colleghi della Stern Business School (New York University) ha condotto uno studio fondamentale su finanza e mercato immobiliare.

La promessa solenne, fatta dallo stesso Obama e teorizzata dai suoi massimi consiglieri economici, era che salvare le banche rimettendole in grado di concedere crediti avrebbe moltiplicato per 8, con i crediti, ogni dollaro speso. Non è andata così, in parte perché era inevitabile e in parte perché gli interessi della finanza vanno in un altro senso, ma adesso occorre spiegare al Paese perché la promessa non ha funzionato. Il clima da nuova recessione che aleggia sull'economia americana, e non solo, rende difficile trovare un racconto credibile. E un presidente che non spiega è più in difficoltà ancora di un presidente inefficace.

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