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Questo articolo è stato pubblicato il 13 agosto 2011 alle ore 08:14.
L'ultima modifica è del 13 agosto 2011 alle ore 07:57.

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Alla fine banche e società finanziarie hanno ottenuto, come sempre, quello che volevano. Dopo aver ottenuto dall'Europa un forte annacquamento delle regole contabili del loro attivo, dopo aver ottenuto dal Governo italiano un'esenzione dalla contabilizzazione delle perdite sui titoli di Stato, hanno ottenuto ieri dalle autorità dei principali Paesi europei la proibizione delle vendite allo scoperto sui loro titoli. Dove finirà?

In un appello al Paese, alcuni banchieri e finanzieri italiani hanno già richiesto il divieto della diffusione dei rating sui prodotti finanziari. I prossimi passi saranno la 'temporanea' sospensione dell'obbligo di presentare un bilancio e la censura su tutte le notizie negative? Qualsiasi critica alle banche sarà considerata un reato di lesa maestà, punito con la reclusione da uno a cinque anni. E siccome è stato dimostrato che le Borse scendono quando a New York il tempo è brutto, sarà impedito ai giornali di riportare le condizioni atmosferiche e le previsioni sul tempo nella Grande Mela. Di fronte alla crisi del modello americano, i nostri banchieri e politici sposano il modello cinese: censura e repressione.
Molti lettori si chiederanno come posso difendere le vendite allo scoperto, come posso considerarle un diritto fondamentale come la libertà di stampa. Non è forse vero che chi vende allo scoperto è un malvagio speculatore?

Ironia vuole che oggi la maggior parte delle vendite allo scoperto su società finanziarie non venga fatta da perfidi speculatori che scommettono sulla caduta dei titoli bancari, ma da altre società finanziarie che si coprono dal rischio di controparte. Immaginiamo per esempio che la banca A si sia coperta dal rischio di un aumento del valore del franco svizzero con un derivato con la banca B, a scadenza fra tre anni. Quando il franco svizzero sale, la banca A si trova ad avere un credito verso la banca B. Se la banca B non versa in buone condizioni finanziarie, la banca A vuole coprirsi dal rischio di non essere in grado di esigere quel credito fra tre anni. Per farlo, A deve comprare un credit default swap su B o vendere allo scoperto le azioni di B, sapendo che se B fallisce perderà il suo credito, ma guadagnerà sulla sua vendita allo scoperto.

Queste vendite allo scoperto, quindi, riflettono la scarsa fiducia che gli operatori finanziari nutrono sulla solvibilità dei loro colleghi. Ciascuno millanta in pubblico la propria solidità, ma dubita in privato di quella altrui. La proibizione delle vendite allo scoperto altro non è che una iniziativa collusiva per mettersi d'accordo e non rivelare al pubblico le paure che gli uni nutrono sugli altri. Meglio lavare i panni sporchi in famiglia.

La giustificazione spesso ripetuta è che queste paure sono irrazionali, ma pur essendo irrazionali possono avere conseguenze reali, perché possono mettere in ginocchio una banca solvente. In teoria questo è vero. In pratica, rimane da dimostrare. Devo ancora trovare un esempio in cui una banca solvente sia stata distrutta dalla speculazione al ribasso, mentre posso citare molti esempi di banche insolventi che sono state tenute in vita dall'appoggio e la connivenza con il potere politico.

Ammesso e non concesso che si voglia colpire la speculazione, sarebbe meglio aumentare l'imposta sui guadagni in conto capitale realizzati su un orizzonte temporale brevissimo. Almeno questa misura è simmetrica e penalizza sia la speculazione al ribasso che quella al rialzo.

Banchieri e politici, però, vogliono punire solo la speculazione al ribasso, perché la temono. Insieme alle società di rating (altre nemiche pubbliche), la speculazione al ribasso è l'unica forma di trasmissione di notizie negative. Banchieri e politici possono intimidire o corrompere tutte le altre forme di informazione, non il mercato. Per questo cercano di metterlo a tacere. Purtroppo il costo di questo silenzio è elevato. Senza il mercato oggi il Governo italiano non farebbe nessuno sforzo per ridurre la spesa pubblica. E senza le vendite allo scoperto c'è meno pressione che induca le banche a raccogliere altro capitale e a ridurre il proprio rischio. Quando a chiedere l'aumento di capitale è il regolatore, i banchieri si difendono dicendo che costoro non capiscono le regole del mercato. Ma quando a chiedere l'aumento è il mercato, vanno a difendersi dal regolatore, dicendo che il mercato è irrazionale e sbaglia.

Cambierà qualcosa? L'esperienza ci insegna che il divieto delle vendite allo scoperto non funziona. Nel lungo periodo i titoli che devono scendere scendono. La proibizione serve solo a ritardare di qualche giorno questa discesa, al costo di innervosire il mercato che si domanda quale sarà la prossima manovra per salvare i banchieri a spese di tutti noi.

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