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Questo articolo è stato pubblicato il 15 agosto 2011 alle ore 12:47.

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L'eventualità era nell'aria e quindi l'effetto sui mercati è stato mitigato dal fatto che non si è trattato di un evento inaspettato, tuttavia la decisione di S&P di tagliare per la prima volta dal 1941 il rating tripla A degli Usa non può certo essere considerata normale amministrazione. I titoli di Stato Usa escono dalla lista degli investimenti più sicuri al mondo e questo non potrà non avere effetti, probabilmente ancora non del tutto esplicitati, sulla finanza mondiale.

Secondo gli analisti di Goldman Sachs il rischio che gli Stati Uniti sprofondino nuovamente nella recessione è del 33% circa, di certo non trascurabile, e gli effetti sui mercati azionari, ma anche su quelli delle materie prime, si sono visti ben prima che S&P facesse la sua mossa: la prima settimana di agosto ha visto l'indice Dow Jones Industrial lasciare sul terreno il 7,5% del suo valore, la peggiore performance dall'ottobre del 2008, ovvero dall'avvio dell'ultima crisi finanziaria mondiale, mentre il petrolio, nella stessa ottava, ha perso il 13% circa.

Dati incoraggianti come quello sul mercato di lavoro di luglio fotografano una situazione ormai datata. Quello che sarà importante seguire è l'andamento dell'economia nei prossimi mesi, quando gli effetti delle misure anti-deficit saranno filtrati nel mondo reale. Fino a quel momento i mercati rischiano di navigare a vista. In ogni caso gli operatori dovranno rivedere la nozione di investimento privo di rischio e tutti i fondi e le assicurazioni dovranno operare un ribilanciamento dei portafogli in base al nuovo rating.

A dire il vero segnali preparatori al sell off che ha investito recentemente la Borsa Usa se ne sono visti e non solo di recente. Il grafico dell'indice S&P500 mostra infatti la creazione di un testa spalle ribassista, classica figura di inversione dell'analisi tecnica, disegnato a partire dal picco di febbraio. Il mercato ha impiegato quindi 6 mesi circa per farsi un'idea di quale avrebbe potuto essere il destino della Borsa Usa, ma una volta assunta una posizione ha agito rapidamente: il calo subito dal maggiore indice della Borsa Usa nella settimana che ha visto l'invio dei segnali negativi è stato il quarto peggiore degli ultimi 10 anni.

Fenomeni di return move, ovvero di rimbalzi volti a testare dal basso livelli graficamente rilevanti come la "neckline" del testa spalle o la media mobile a 200 giorni, sono molto probabili, ma data la gravità dei segnali di ribasso inviati sarebbe molto strano se l'indice non sprofondasse ancora, magari dopo una reazione, fino a riportarsi almeno sul 50% di ritracciamento del rialzo dai minimi del 2009, ovvero in vista dei 1.000 punti.

Il test di quota 1.000 (supporto intermedio a 1.100, altro importante ritracciamento di Fibonacci calcolato per il rialzo dal 2009) potrebbe dimostrarsi un momento chiave per il mercato, che su quei livelli andrà probabilmente a chiedersi se la correzione è sufficiente o se invece le prospettive per la tenuta dell'economia non convincono e sono quindi necessari ulteriori cali per allineare quotazioni e aspettative.

A conferma di quanto è possibile ricavare dallo studio grafico dello S&P500 interviene anche l'andamento del tecnologico Nasdaq: i prezzi hanno disegnato tra maggio e luglio un doppio massimo, altra tipologia di figura ribassista caratterizzata da due picchi allineati sugli stessi livelli, in questo caso in area 2.890, completato con la discesa sotto 2.600. Il primo target della figura, calcolato in base alla sua ampiezza, è posto a 2.320 circa. E' possibile che il raggiungimento di quei livelli implichi un rallentamento della discesa e un tentativo di rimbalzo: l'Rsi a 14 sedute è ai minimi dal settembre 2001, nettamente ipervenduto. Attenzione tuttavia al fatto che eventuali rimbalzi potrebbero dimostrarsi solo reazioni tecniche e lasciare presto spazio alla ripresa del ribasso. Solo oltre area 2.600 i recenti segnali negativi di medio termine verrebbero negati. Sotto 2.320 l'obiettivo del Nasdaq si sposterebbe invece fino a quota 2.150.

Andamenti dei corsi di Borsa e dei prezzi del petrolio difficilmente divergono in modo evidente: la stesso calo di domanda che deprime gli utili delle aziende interviene con un effetto analogo sui consumi di greggio. Anche nel caso del recente crollo dello S&P500 la regola è stata rispettata. Sul grafico del petrolio Wti manca la realizzazione di una figura ribassista facilmente riconoscibile come nel caso dello S&P500 e del Nasdaq, ma rimangono pesanti segnali di debolezza come la violazione della linea di tendenza che sosteneva tutto il rialzo dai minimi di fine 2008 e della media mobile a 200 giorni, entrambe in area 95 dollari.

Anche l'andamento dei grafici di giganti azionari il cui andamento è tipicamente legato al ciclo economico come Alcoa (AA), Caterpillar (CAT), Chevron (CVX) e Fed Ex (FDX) lasciano pochi dubbi. Tutti e quattro viaggiano ormai nettamente sotto le rispettive medie mobili a 200 sedute, indicatore che viene considerato una buona approssimazione del trend di medio periodo.

L'investitore prudente dovrebbe considerare l'opportunità, in caso di realizzazione di rimbalzi (probabili come segnalato dalla condizione di ipervenduto degli indicatori tecnici), di ridurre l'esposizione in attesa della comparsa di successivi segnali chiarificatori.

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