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Questo articolo è stato pubblicato il 19 agosto 2011 alle ore 08:09.

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NEW YORK. Standard and Poor's sempre più sotto pressione. La maggiore agenzia di rating degli Stati Uniti è al centro di un'inchiesta del dipartimento di Giustizia americano: l'accusa è una presunta sovrastima dei titoli garantiti dai mutui subprime che scatenarono la crisi finanziaria del 2008, cui sarebbe stata data una valutazione alta in modo ingiustificato.

A rivelarlo è il New York Times, che precisa che l'indagine è stata avviata prima del declassamento della tripla A americana deciso da S&P il 5 agosto. Né è escluso che l'inchiesta, basata sulla testimonianza di due persone, coinvolga anche gli altri colossi del rating, Moody's e Fitch. In ogni caso è l'ennesimo duro colpo alla forza di Standard and Poor's, che si va ad aggiungere all'ipotesi di un possibile insider trading avanzata dalla Sec proprio a proposito del downgrading Usa, e alle indagini della Procura di Trani sulla «manipolazione del mercato» (imputata a tre analisti nel 2011). Più in generale, è l'ulteriore prova dello scetticismo che ormai aleggia su questi organismi un po' ovunque: basti ricordare il caso della cinese Dangong, nel «mirino» delle autorità di Pechino per la tripla A data al gruppo che governa l'alta velocità Shanghai-Pechino, la cui quotazione in Borsa è saltata nei giorni scorsi dopo l'incidente ferroviario costato la vita a 40 persone.

Sull'ultimo caso americano, il dipartimento di Giustizia sta verificando se i giudizi dell'agenzia su decine di titoli tossici garantiti dai mutui ad alto rischio siano stati dati «in modo improprio». Il punto cruciale è capire se le valutazioni iniziali di alcuni analisti sulla solidità dei mortgage bonds incriminati siano poi state modificate in seguito alle pressioni dei loro superiori. Se ciò venisse dimostrato, scatterebbe una causa civile contro Standard and Poor's. E l'indipendenza dei rating dai condizionamenti dei mercati sarebbe definitivamente sconfessata, con pesanti conseguenze per l'intero sistema.

Quella dell'autonomia delle agenzie di rating è una questione annosa, se ne discute da sempre. Basti pensare che tra gli azionisti di questi organismi ci sono grandi fondi di investimento. Nel caso di Moody's c'è persino un protagonista della finanza del calibro di Warren Buffett. Come non interrogarsi sui forti interessi che potrebbero orientare certi giudizi?
Negli anni precedenti alla crisi finanziaria del 2008, osserva il New York Times, le agenzie di rating attribuivano il massimo livello di fiducia a vari titoli legati a mutui ad alto rischio, aumentandone il valore. Quegli stessi titoli che poi si rivelarono «spazzatura», o quasi, e che innescarono una crisi senza ritorno, con il fallimento di Lehman Brothers e la successiva recessione di cui ancora si pagano le conseguenze.

Il collasso del mercato immobiliare e il crollo del sistema finanziario misero già allora l'attività delle agenzie di rating sul banco degli imputati. E l'idea che i verdetti di queste istituzioni fossero influenzati dall'obiettivo di fare maggiori profitti si è insinuata fino all'avvio di questa inchiesta.
Molte aziende e alcune nazioni - non gli Stati Uniti - pagano le agenzie per avere un rating. Secondo la Financial Crisis Inquiry Commission (una commissione federale incaricata di indagare sulle cause del tracollo finanziario del 2007-2010), prima della crisi le banche si affidavano alle agenzie di rating per assicurarsi un giudizio positivo. Alcune pagavano fino a 100mila dollari per i rating sui titoli legati ai mutui.

S&P è una divisione di McGraw-Hill che, sotto la pressione dei propri investitori, sta considerando se scorporare le proprie attività o attuare altri cambi strategici. Già il declassamento degli Stati Uniti a AA+, con la bufera che ne è conseguita sui mercati non solo americani, ha posto dei seri interrogativi sull'affidabilità di Standard & Poor's, a maggior ragione dopo che tre giorni fa Fitch ha invece confermata la tripla AAA e un outlook stabile per gli States.

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