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Questo articolo è stato pubblicato il 19 agosto 2011 alle ore 08:10.

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Morgan Stanley ha rivisto al ribasso le stime sulla crescita economica mondiale di quest'anno, a +3,9% dal +4,2% indicato precedentemente e ha parlato di un rischio recessione globale. In altri tempi la revisione sarebbe passata inosservata, ma oggi con i mercati sottili e nervosi ha contribuito a scatenare vendite e panico. Un campanello d'allarme comunque da non sottovalutare visto che a livello di sviluppo globale il limite di pericolo è considerato una crescita sotto il 3 per cento.

Nel rapporto, uscito ieri, i Paesi sviluppati sono su un percorso «accidentato, sotto tono e fragili», insomma «pericolosamente vicini alla recessione». Più marcata la correzione delle previsioni sul Pil del 2012, a +3,8% da +4,5%, a riprova che la durata della crisi come indicato da Kenneth Rogoff, professore ad Harvard, è stata sottostimata e come suggerito dai due premi Nobel Joseph Stiglitz e Paul Krugman bisogna evitare un nuovo 1937, cioè una doppia recessione. Nel 2011, secondo la banca d'affari americana, la crescita economica dei dieci principali Paesi al mondo dovrebbe essere di appena l'1,5%, stima corretta dall'1,9. Performance che poi dovrebbe accelerare al 2,4% nel 2012.

Il problema nuovo e inquietante è che la frenata della crescita nel corso di quest'anno e del prossimo secondo Morgan Stanley interesserà anche i mercati emergenti, Cina compresa. Nel rapporto gli economisti hanno abbassato le loro stime sulla crescita anche degli emergenti per il 2011 al 6,4% dal 6,6% indicato in precedenza (+7,8% nel 2010) e per il 2012 al 6,1% dal 6,7. Ormai il peso dei mercati emergenti nell'economia globale è al 50% e il loro contributo alla crescita, secondo la banca d'affari, ha già raggiunto l'80 per cento. Per l'Europa (con la Francia ferma e la Germania quasi ferma con un +0,1% nel secondo trimestre) gli economisti per quest'anno e per il prossimo si aspettano una crescita del Pil dello 0,5% «significativamente sotto alla nostra precedente stima dell'1,2%». Morgan Stanley stima che nei prossimi 6-12 mesi sia gli Stati Uniti sia l'Eurozona ci andranno molto vicini alla recessione.

Eppure questo scenario catastrofico è poco probabile perché il settore corporate è «seduto su una montagna di contante e vede i margini di profitti salire», i redditi reali delle famiglie saranno sostenuti tramite una bassa inflazione di fondo anche grazie al calo del petrolio e perché prevedono «più azione da parte della Fed e della Bce, compresi tagli ai tassi di interesse entro il 2012» e allentamenti sul fronte monetario non standard, cioè Quantitative easing. Dietro la revisione al ribasso delle stime della crescita ci sono, oltre ai deludenti dati statistici, anche «i recenti errori di politica negli Stati Uniti e in Europa, l'insufficiente risposta ai debiti sovrani europei e il dramma sul tetto del debito pubblico americano e anche la prospettiva di ulteriore irrigidimento fiscale nel 2012». La scure degli economisti di Morgan Stanley ha interessato anche le previsioni sulla crescita cinese, ritoccate per il 2012 a +8,7% dal 9 per cento. Anche la Deutsche Bank ha ridotto le stime cinesi a 8,9% dal 9,1% per quest'anno, e all'8,3% dall'8,6% per il 2012.

Nessuna nuova recessione è all'orizzonte ribattono con forza da Bruxelles, né nella zona euro né tantomeno a livello mondiale, malgrado il rallentamento generalizzato della crescita: ne è convinto il presidente dell'Unione europea Herman Van Rompuy, secondo cui «non c'è nessuna prospettiva di crescita economica negativa: la crescita può essere più debole del previsto, ma non prevediamo alcuna recessione».

Sulla stessa lunghezza d'onda di Van Rompuy anche l'americano William C. Dudley, il presidente della Federal Reserve Bank di New York che si aspetta che l'economia degli Stati Uniti migliorerà quest'anno dopo un semestre 'anemico' e non scivolerà in una recessione.

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